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Il 1873.
«Il Re regna, ma non governa» la formula delle monarchie costituzionali, fu severamente osservata da Vittorio Emanuele nei ricevimenti del 1° gennaio 1873. Il Re si limitò a pronunziare parole cortesi in risposta agli augurii, che gli presentava il signor Marsh, decano del corpo diplomatico, a nome dei suoi colleghi, e ad assicurare che quegli augurii riuscivano grati al suo cuore, perché gli fornivano la prova che il suo Governo era in buoni rapporti di amicizia con tutte le potenze. Ai rappresentanti del Parlamento, parlando della sua recente malattia, disse che era stata cosa lieve, ma che del resto l’Italia aveva sempre chi sapeva mantenere l’opera da lui compiuta. Solamente al conte Pianciani, funzionante da sindaco, espresse il desiderio di veder presto incominciati i lavori del Tevere. Il riserbo del Re, il quale era solito dire qualche parola sulle questioni più gravi, fu notato. Vittorio Emanuele forse in quell’anno volle evitare ogni allusione ai lavori parlamentari, alle gravi quistioni che Camera e Senato dovevano risolvere, per un riserbo lodevolissimo; forse anche la recente infermità gli aveva tolta una buona dose d’energia. L’aria di Roma era nociva alla salute del Re e in quel tempo l’aria era ben poco confacente a quanti vi venivano da altre località. Inoltre Vittorio Emanuele era gravemente angustiato per le notizie di Spagna, e il malessere fisico e l’inquietudine che gli cagionava la sorte del figlio Amedeo, gli toglievano l’energia e la voglia di parlare. I ricevimenti lo stancavano e quella sera del 1° gennaio quando comparve alle 6 nella sala da pranzo dei Quirinale, dando il braccio alla principessa Margherita, e più tardi all’«Apollo», tutti nel rivederlo, si accorsero che era molto deperito. Il pubblico gli fece una calorosissima ovazione, tanto quando comparve durante il 1° atto dell’«Africana», quanto allorchè usci dal teatro; e con