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voleva raggiungere. Garibaldi tirò fuori quella bandiera, sulla quale stava scritto: Italia e Vittorio Emanuele. Alcuni nostri amici a Genova non vollero approvare quella transazione e noi abbiamo detto loro: «Rispettiamo i vostri principii, lasciateci seguire il nostro impulso.» La bandiera che avevamo inalberata pochi mesi dopo ci condusse trionfalmente a Marsala, a Palermo, e più tardi a Napoli. A quella bandiera dichiarammo di voler restare fedeli anche per l’avvenire.

«Non sono mai stato a Pitti, come non sono mai stato al Quirinale, ma considero il Re come il primo cittadino dello Stato, come il capo riconosciuto da una grande nazione. Ora, venendo più direttamente all’argomento che oggi ci occupa, vi dirò adunque quali sono i criterii che, ispirandomi al passato, ho seguito nella presente circostanza. Ho detto tra di me: Il partito clericale in Roma è numeroso e dispone di molte influenze; bisogna dunque cercare di opporgli tutte le forze del partito liberale. Il partito democratico in Roma non ha forza sufficiente a combattere da solo, e voi lo riconoscerete facilmente; che vi era dunque di più naturale di associare gli sforzi di tutti mediante convenienti transazioni? Si trattava non già di democrazia o di non democrazia, ma di far fronte al nemico comune: il papato ed il clericalismo, e l’esperienza del passato c’insegnava quale doveva essere la via da seguirsi. Non ho più pensato a risentimenti personali, non ho curato i nomi, ma ho visto solamente i principii e gl’interessi del paese. D’altronde non si deve oggi nominare tutto il consiglio comunale, ma solamente il quinto di esso, per cui è vano il credere che se ne possa modificare l’indirizzo. Në bisogna scordare che nella rappresentanza del Comune e della Provincia non è solo la democrazia che deve essere rappresentata, ma anche la borghesia, la proprietà, il commercio e ogni ordine di cittadini.

«Eccovi dunque spiegato, senza reticenze, quale fu la mia condotta, quali i miei criterii. Tuttavia se l’Assemblea non condivide queste mie considerazioni, se crede che il partito democratico a Roma sia forte abbastanza per vincere da solo, essa è liberissima di proporre una lista in questo senso, ed io non potrò che augurarne la riuscita».


La professione di fede di Crispi era stata accolta in più punti da fragorosi e lunghi applausi all’Italia e a Vittorio Emanuele. Quando il deputato siciliano ebbe cessato di parlare, prese la parola l’Arbib in difesa del comitato elettorale dei Circoli riuniti.

Ricciotti Garibaldi, il più accanito fra tutti, dichiarò in risposta a Crispi, che la monarchia doveva cessare; Arbib rispose vivamente, incominciò un tumulto, alcuni si scagliarono sull’Arbib, si vide luccicare un lungo stile, ma il Parboni con le potenti braccia deviò l’arma e difese il direttore della Libertà. Intanto esortava l’assemblea alla calma, mostrando che i carabinieri e le guardie guidati da un delegato, erano sulla porta della sala, pronti a intervenire, e col delegato si fece garante lui del mantenimento dell’ordine. Prima di sciogliersi il meeting accettò una parte della mozione del Luciani, intitolando la sua lista «Lista Democratica» ed escludendo da quella alcuni nomi.

Ho estesamente parlato dell’adunanza all’«Argentina», prima per dimostrare come fosse violenta la lotta fra i partiti appena avevano un campo per combattere; in secondo luogo perchè queste elezioni furono davvero l’avvenimento più importante di quell’anno. Trionfò tutta la Lista Unica con grande prevalenza su quella dei clericali e dei rossi.

Fra i consiglieri comunali quelli che ebbero maggior numero di voti furono: Eugenio Anieni (5340) e Giovanni Costa (5291); fra quelli provinciali: Luigi Pianciani (5688) e Achille Gori-Mazzoleni (5290). Questi resultati provarono che se nel partito liberale vi era concordia, peraltro esso riuniva a preferenza i suoi voti su nomi che non avevano figurato nella precedente amministrazione.

La città si ornò di bandiere per questa vittoria dei liberali, in Trastevere si volle fare una dimostrazione, ma prevedoso pericoli che ne potevano nascere, alcune persone influenti s’intromisero affinchè non avesse luogo. Sangue era già corso il giorno delle elezioni, in una rissa fra