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tronco di essa si era ancora incerti, perché alcuni opinavano che essa dovesse sboccare a piazza Sciarra, altri ove sbocca adesso. Anzi il consiglio comunale votò il progetto dell’ingegnere Viviani, con lo sbocco a piazza Sciarra. Una turba di operai lavorava alle opere di sterro, e la furia di edificare incominciava a manifestarsi.
Forse quel rimescolamento del suolo fu cagione di un rincrudimento di malattie, e come l’anno prima vi era stata una epidemia di vaiuolo, di cui fu vittima anche l’ambasciatore di Baviera, signor di Deellinges, quell’anno vi fu un numero così grande di febbri malariche, che gli ospedali non potevano più contenere i malati; in una compagnia di sede alla villa di Papa Giulio di 100 soldati, 61 erano colpiti di febbre. Questo imponeva che gli ospedali fossero ampliati e il Municipio se ne occupava, e requisì Sant’Antonio per farne un ospedale militare, come occupavasi della costruzione di case operaie al Testaccio, e del quartiere dei Prati di Castello senza peraltro venire a nessun resultato. La questione della sistemazione del Tevere, era stata studiata dall’ing. Canevari, col quale avevano lavorato il prof. Betocchi, l’ing. Partini e altri.
Neppure i lavori archeologici erano trascurati e ora che il Palatino apparteneva al Governo, dopo aver appartenuto a Napoleone III, rinasceva l’amore per le antichità e si facevano scavi lassù e lavori al Colosseo.
Nel mese di luglio una grande notizia si sparse per Roma: i clericali partecipavano alle elezioni amministrative. Si era preveduto dopo una pastorale dell’arcivescovo di Napoli, lo confermò un manifesto firmato dai tre direttori dei giornali neri, dal marchese di Baviera per l’Osservatore Romano, da Pietro Pacelli per la Voce della Verità, che a Roma chiamavano la Voce delle Bugie, e da Filippo Tolli per La Stella. Un brano del manifesto diceva:
«All’autorità civile, proteggitrice del Pontefice, subentra la volontà, l’abnegazione, il coraggio individuale del cittadino. Ci è lasciata dai nostri padroni un’arma; è nostro dovere di raccoglierla e di difendere la nostra fede, la fede, la morale dei nostri figli, dei nostri fratelli. Ci si spezzerà in mano quest’arma dalla forza brutale: si romperà con le insidie, colle subornazioni, con ogni mezzo di corruzione, il fascio delle nostre forze: forse per ora non riusciremo. Che importa? Avremo fatto il nostro dovere; la non riuscita non ci avvilirà, ma ci darà lena a ritentare la prova, e se soffriremo qualche danno per la causa della giustizia, per cuori veramente cattolici sarà questo motivo di consolazione e di gloria. Intendiamoci dunque. I cattolici non giureranno mai il mantenimento e il rispetto delle leggi che hanno spogliato la chiesa, che ne distruggono le più sacre istituzioni. In quanto a questo crediamo che la loro bandiera sia sempre l’antica».
Questo manifesto dei clericali produsse una reazione nel campo liberale. La Libertà, giornale moderato, ma battagliero, propose che tutte le forze liberali si unissero, che tutti i Circoli di Roma formassero una lista unica di candidati per evitare il pericolo di vedere una invasione di reazionari al Campidoglio. L’appello fu ascoltato e il «Circolo Cavour» presieduto dal conte Lovatelli, quello «Bernini» dal signor Gori-Mazzoleni, quello «Legale» dall’avvocato Bussolini, quello «Nazionale» dal senatore Caccia, la «Società Operaia» ed anche il «Circolo Romano» presieduto dall’Ostini, proposero i loro candidati e poi riunitisi insieme alla sala Dante elessero fra tutte quelle liste tredici nomi di consiglieri comunali, e sei di consiglieri provinciali. I primi erano: Samuele Alatri, Eugenio Anieni, Augusto Armellini, Andrea Bracci, Giovanni Costa, Vincenzo Galletti, Giacomo Lovatelli, Terenzio Mamiani, Giuseppe Marchetti, Oreste Pestrini, Camillo Ravioli, Giuseppe Pocaterra, Augusto Silvestrelli. I secondi: Onorato Caetani, Felice Ferri, Francesco Giovagnoli, Achille Gori-Mazzoleni, Giuseppe Partini, Luigi Pianciani. Una lista nella quale erano raccolti nomi che rappresen-