Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/90


— 78 —

momento per Roma, e la sera non si parlava d’altro nei caffè. Senza quella dichiarazione l’addetto di ambasciata l’avrebbe passata brutta, perchè a Roma i francesi erano tutt’altro che amati ed era noto che quel palazzo Colonna era stato sotto il d’Harcourt un covo di nemici nostri.

Quell’anno il Governo aveva proibito la processione al Gianicolo per la commemorazione della vittoria garibaldina del 30 aprile. I rossi ne menarono gran scalpore e la Capitale e il Ciceruacchio sbraitarono, ma essi non erano ascoltati altro che da una piccola parte di internazionalisti, dopo che erasi divulgato il brutto affare della sottoscrizione per la vedova del Ferrero, il cuoco del «Rebecchino» ucciso da un soldato di fanteria in seguito al tumulto della Minerva. La campagna contro Raffaele Sonzogno era stata fatta con grande acrimonia dalla Nuova Roma, che aveva pubblicato la lettera della vedova, dalla quale risultava che i quattrini raccolti non erano andati a lei, e le si erano anzi negati.

Un altro fatto doloroso avvenne fuori di Porta Cavalleggieri fra guardie nazionali non in servizio, e gendarmi del Papa. Uno di essi fu ucciso, due feriti. Questi, portati in Vaticano, non poterono essere interrogati per il rifiuto del Papa. Il processo in Corte d’Assise terminò con un verdetto di assoluzione per gl’imputati, che pare fossero provocati.

In mezzo a tanto agitarsi di partiti, a tanti ostacoli che il Vaticano poneva a ogni innovazione, come per esempio al matrimonio civile, acerbamente combattuto dai parroci e contratto solo da pochi, pure, per una inevitabile legge, la vita pubblica cominciava a manifestarsi a Roma e la città prendeva un altro aspetto. Già vi era un risveglio fra gli agricoltori e sotto la presidenza del ministro Castagnola, si tenevano pranzi agrari, nei quali i proprietari insieme con gli scienziati discutevano tesi riferentisi ai miglioramenti della cultura del suolo; già si sentiva il bisogno di creare più scuole a Roma, dove, come risulta da una inchiesta del Circolo Cavour, promossa da David Silvagni, vi erano appena 20 scuole municipali di fronte a 288 tenute da preti, frati, o monache, e frequentate da 19,321 alunni; già si sentiva il bisogno di maggior nettezza, di maggiori comodità e di lavori di abbellimento. Le vie principali, per la ripulitura delle case, per l’apertura di nuovi magazzini, erano trasformate. In via Condotti, la signora Emilia Bossi aveva aperto un magazzino di mode, decorato dal Barbetti di Firenze, e Jannetti pure vi aveva aperto un magazzino; il pellicciaio Grossi, gran dilettante drammatico, ne aveva aperto uno sotto l’albergo di Roma; l’orefice Marchesini sull’angolo di via Condotti e il Corso ov’è ora; Schostal era anche venuto a Roma a esercitare il suo commercio di biancheria; Rimmel vi aveva portato i suoi profumi. E oltre questi e molti altri che ora non ricordo, anche i romani avevano rese più belle ed eleganti le loro botteghe.

Il municipio metteva i candelabri per il gaz in piazza Colonna, costruiva ovunque marciapiedi, creava il giardinetto in piazza San Marco, erigeva le cancellate e i candelabri in piazza Navona, abbelliva quella del Popolo, e impediva ai mercanti ambulanti d’invadere il suolo pubblico e studiavasi di render più comoda e meno trasandata la città.

Intanto le società costruttrici mettevano mano ai lavori decretati. Il quartiere del Celio era dato in appalto alla Società Edificatrice Italiana, quello dei Santi Quattro alla Società Guerrini e compagni, il nuovo quartiere dell’Esquilino alla Società Costruttrice Genovese, quello operaio del Testaccio al signor Picard, il Castro Pretorio al Credito Immobiliare, rappresentato dal conte Berretta. Il palazzo delle Finanze era rimasto aggiudicato al Breda, rappresentante della Societa Veneta di Costruzioni.

Nel 1872, la via Nazionale era già terminata fino alle Quattro Fontane, ma per il secondo