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ritorio francese, sarebbe stata alleata dell’Italia. Bisognava dunque evitare la discussione, per evitare un nuovo conflitto. Thiers dunque nominò Fournier, noto per essere un diplomatico di larghe vedute e di sentimenti liberali, lo fece partire e di aggiornamento in aggiornamento la discussione delle petizioni fu rimandata a tempo indefinito, ed esse non furono neppur lette all’Assemblea di Versailles. Il conte Nigra, con la sua condotta ferma aveva trionfato. Il celebre paladino del papato, Luigi Veuillot, scriveva nell’Univers: «Le centomila petizioni cattoliche in favore dei diritti del Papa sono aggiornate indefinitivamente, cioè definitivamente annullate. Per una sciagurata coincidenza dei fatti il signor Fournier giunge a Roma e si presenta ai piedi del trono di Vittorio Emanuele con questo regalo diplomatico fra le mani».
Poco dopo l’arrivo del signor Fournier, che era incaricato di esprimere sentimenti pacifici al Governo italiano, il grande protettore del Vaticano, il marchese d’Harcourt era mandato a Londra, e lo sostituiva il signor Bourgoing.
Un’altra vittoria diplomatica fu quella vinta per l’Italia dai suoi avversari, non volendo accettare come ambasciatore di Germania il cardinale principe di Hohenlohe. Si vuole che il Papa non avesse nulla in contrario, e neppure l’ Antonelli, ma che il parere di monsignor Nardi e di Luigi Veuillot prevalesse, e il Vaticano non accettò come rappresentante dell’impero germanico il cardinal Hohenlohe. Il conte Arnim venne da Parigi a presentare le sue lettere di richiamo al Papa, e non fu sostituito. Anzi, in quella sua gita ebbe frequenti abboccamenti con i ministri del Re, ai quali pare la politica non fosse estranea. Il Papa, che sapeva tutto questo, lo ricevė peraltro cordialmente e gli fece un ricco dono.
Era curiosa del resto quella diplomazia. Il conte Thomar, ambasciatore di Portogallo presso la Santa Sede, si faceva presentare al Re, e i due ambasciatori d’Austria abitavano in comune il palazzo di Venezia; i giovani addetti d’ambasciata andavano ai balli ov’erano i Principi; la commedia della doppia rappresentanza si faceva farsa.
Verso la metà di febbraio un dolore grave colpi i Principi di Piemonte. Il generale Efisio Cugia, primo aiutante di campo del Principe Ereditario, morì improvvisamente. Aveva assistito dal terrazzino «dell’Albergo di Roma» al Corso carnevalesco, insieme con i Principi. Nello scendere di carrozza barcollò e appena portato nel suo quartiere moriva. Il Principe ne fu addoloratissimo e nel comunicare la notizia al Re disse di aver perduto «il migliore dei suoi amici». Gli ordinò solenni funerali e volle seguirne le esequie nella chiesa di SS. Vincenzo e Anastasio, dove la principessa Margherita si trovava già a pregare e scoppiò in lagrime vedendo giungere la bara. Roma ammirò il sentimento del Principe e vide con meraviglia che al trasporto si associassero lunghe file di preti e frati. Il Papa, contrariamente all’opinione dei gesuiti, volle che al Cugia non mancassero le preci del clero. Quella morte subitanea fece mettere in giro voci di sinistre predizioni fatte al Cugia, di offerte di mazzi di fiori avvelenati e di cartellini trovati nei confetti, nei quali gli si pronosticava la morte. Tutte fandonie. Il Cugia era indisposto da diverso tempo, e soccombè ad una malattia di cuore.
La casa reale ordinò pure solenni funerali al Sudario per il general Cugia e i Principi e molte dame assistettero.
I signori del patriziato romano, si ritiravano a poco a poco dalle cariche accettate in momento di penuria di uomini e in uno slancio d’entusiasmo. Il duca di Sermoneta usciva dal municipio, il principe Pallavicini dava le dimissioni da sindaco, il principe Doria lasciava la carica di prefetto di palazzo e di gran mastro delle cerimonie.