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I giornali clericali accolsero male il censimento, come accoglievano male tutte le innovazioni, e cercarono d’insinuare che fosse una gherminella del ministro Sella per applicare nuove imposte. Del resto quei giornali, di cui si potrebbero consultare le collezioni, per rimanere edificati del loro linguaggio, non tralasciavano occasione per biasimare ogni atto del Governo e offendere il sentimento nazionale. L’invio del general Pralormo e del grande Scudiero marchese Di Lajatico al Vaticano, per portare gli augurii del Re in occasione del capo d’anno al Papa, fu pure per essi argomento di scherno. I due inviati non furono ricevuti, come non era stato ricevuto l’anno prima il generale Bertolé-Viale. Furono accolti da Antonelli, cortesemente. E incentivo a contumelie fu l’occupazione dei locali intorno alla chiesa di San Vitale, fatta dal colonnello Garavaglia per ordine del commissario Gadda, al quale non risparmiarono improperii. La rappresentazione poi dell’Arduino d’Ivrea, del povero Stanislao Morelli, uomo onesto, intelligentissimo e colto, che morì povero e desolato di lasciar nella miseria le sue bambine, dette specialmente sui nervi a monsignor Nardi, perché Arduino inveisce contro il vescovo di Milano. Quella recita fu per Roma un avvenimento. Si dette più sere il dramma, interpretato dal Salvini, e tutti correvano a vederlo. Si dice che il Lanza, prima di concedere il permesso della recita, volesse assicurarsi che il fatto era storico e Arduino era stato proprio Re.
Nel mese di febbraio del 1872, si tenne a Roma nel palazzo dei Sabini, in via delle Muratte, una curiosa radunanza di cattolici e protestanti per discutere la tesi: «Se San Pietro sia stato a Roma». Era presidente il principe Chigi, maresciallo del Conclave e capo della Società per gl’Interessi Cattolici; accanto a lui sedevano il pastore Pigott, che ha anche al presente la chiesa metodista Welseliana di via delle Coppelle, l’avvocato De Dominicis-Tosti e il signor Philips. Il pastore Sciarelli apri la discussione, confutando la tradizione che sostiene San Pietro venisse a Roma, lo ribatterono monsignor Fabiani e il parroco Cipolla, citando la lettera di San Pietro ai cristiani di Cappadocia e di Alessandria, datata da Babilonia, sostenendo che con tale appellativo l’Apostolo voleva accennare Roma, nuova Babilonia per la sua potenza e per i suoi vizii.
L’uditorio, composto di protestanti e di cattolici, dava segni di approvazione e di disapprovazione.
Il pastore Riberti, che ora credo sia a Torino, ribattè le confutazioni del monsignor Fabiani, e la sera dopo il Gavazzi confutò a sua volta il Cipolla, sostenendo che gli argomenti biblici non dovevano esser negativi, ma positivi. I ministri evangelici rinunziarono dopo questo alla parola, dicendo che in seguito al riepilogo del professor Guidi, la discussione poteva esser chiusa, lasciando al sano giudizio del pubblico gli apprezzamenti. E le sedute si chiusero difatti col discorso del Guidi. La discussione fu raccolta dagli stenografi del Concilio Ecumenico e da quelli della Camera e stampato, ma in Vaticano fu stabilito di non partecipare più a siffatte dispute. Ma non è quello che in esse fu detto che interessa, bensì il fatto che il Papa, dando il suo consenso a queste riunioni, aveva con ciò sancito il diritto del libero esame nelle questioni religiose.
In quell’inverno le case del patriziato romano bianco si aprirono di nuovo a splendidi ricevimenti, ma il Re non andò in nessun luogo, e pochissimo si fece vedere la principessa Margherita. Ella era indisposta spesso e la curava il professor Maggiorani. Soltanto il principe Umberto era ovunque.
Ai Doria, ai Teano, ai Pallavicini, che ricevevano anche l’anno prima, si unirono altri. La signora Field, madre della principessa di Triggiano, dava balli nel palazzo Ruspoli; il duca di Fiano apri la sua grande sala, che aveva promesso di non aprire fin che Roma non fosse libera; la prin-