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Il 1872.
Il bel sole che illuminava Roma la mattina del 1° gennaio 1872 fu una lieta promessa di pace, e pacifico fu il discorso che pronunziò il Re al Quirinale nel ricevere le deputazioni della Camera e del Senato, un discorso che rivelava la soddisfazione dei fatti compiuti, e incitava al lavoro. Questo lavoro s’imponeva, perchè oltre le riforme generali che richiedevano le nostre leggi, create quasi tutte nella massima fretta da uomini, che avevano, momento della unificazione del paese, più patriottismo che esperienza di governo, la guerra di Francia, le nuove spese militari, l’acquisto di Roma ne richiedevano altre. L’università romana, per esempio, non era pareggiata alle altre; la legge sulle corporazioni religiose, per riguardo alle potenze e al Papa, non era stata applicata alle nuove provincie, e Roma stessa, per esser capace di divenire di fatto la capitale d’Italia, cioè il vero centro della vita del paese, aveva bisogno della cooperazione del Governo. Il lavoro dunque era grave, delicato e complesso. Il municipio pure aveva capito questa necessità e l’anno inauguravasi con un lavoro necessario: il censimento della popolazione. Da quel censimento risulta che Roma aveva allora 247,553 abitanti, cioè presentava un aumento di circa 25,000 abitanti sulla Roma papale, perchè già da ogni parte d’Italia erano venuti qui operai per i lavori, intraprenditori e un certo numero d’impiegati, ma soprattutto molti affaristi attratti dalla speranza di lucrose speculazioni; però la mancanza di alloggi, il caro dei viveri, tratteneva ancora molta parte di quella popolazione avventizia che poi venne in seguito e che fu più male che bene che venisse.