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iv

di estendere la cronaca ai venticinque anni di Roma capitale, di narrare, senza spirito partigiano, il bene e il male che si era fatto, non con la pretesa di compiere un lavoro storico a base di considerazioni, che troppo lungo sarebbe riuscito e troppo arduo per me, ma una cronaca che potesse servire a chi fosse desioso di formarsi un idea di ciò che era avvenuto qui nell’ultimo quarto di secolo; una cronaca particolareggiata nella quale fossero notati così i grandi come i piccoli avvenimenti, che avevano appassionato e commosso, afflitto e divertito i Romani.

E quegli avvenimenti non scarseggiavano davvero: dopo la liberazione materiale si era intrapresa a Roma una vasta opera di distruzione del passato; opera morale che mirava a far della città cosmopolita, divenuta tale appunto per l’indole della Chiesa che la governava, la capitale italiana di un regno italiano; opera materiale che tendeva a risanarla, a ringiovanirla, ad ampliarla e a far penetrare nei luridi e malsani quartieri l’aria, il sole e la salute.

Questo duplice lavoro, questa conquista lenta, ma sicura della madre antica divenuta per le vicende della lunga separazione estranea ai figli, che non avevano cessato d’invocarla e d’inspirarsi nel nome di lei, le lotte che aveva suscitate l’improvvisa caduta di quel potere temporale, che pareva incrollabile, la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, il potere civile che si sostituiva a quello ecclesiastico, così nell’insegnamento come in altre manifestazioni della vita del popolo di Roma, la morte del primo re d’Italia, seguita da quella di Pio IX, il Conclave, le feste patriottiche, i pellegrinaggi e tanti altri fatti offrivano al cronista vasto campo in cui mietere e spigolare.

Il lavoro era lungo, specialmente per le ricerche e le indagini, paziente, penoso anche, ma non difficile, e l’intraprenderlo non costituiva, da parte mia, un atto di presunzione.

Il cronista non è come lo storico un giudice e un filosofo, dal quale si richiede che ponderi le cause determinanti i fatti, e studi gli uomini in mezzo alle condizioni della loro esistenza per trarre dagli avvenimenti, se non leggi scientifiche, come voleva il Buckle e prima di lui il Vico, almeno ammaestramenti; il cronista è un semplice narratore, e anche gli antichi compilatori delle cronache da cui ora si traggono le notizie più curiose, le quali servono a ricostruire la fisonomia di una città, di un popolo, e a mettere nella sua vera luce una figura, erano spesso tutt’altro che dotti, come non sono dotti i cronisti dei giornali, che hanno tra tutti i redattori l’ufficio più modesto, ma non meno utile.

L’idea di compilare la cronaca non mi sgomentò, e così gli appunti e le cartelle non perirono fra le fiamme e io ripresi a sfogliar giornali, a consultar persone, che avevano avuto parte negli avvenimenti più salienti, cercando di mandare avanti di pari passo il lavoro di ricerca con quello di compilazione. E quel lavoro mi occupava in maniera siffatta che io non mi accorgevo di vivere nel presente, tanto era assorta nel recente passato, e parevami di veder sfilare dinanzi ai miei occhi personaggi ormai discesi nella tomba, di assistere alle lotte e agli attriti fra il Papato e il Governo italiano, (li aggirarmi in quella Roma scomparsa, in mezzo alla gente che vi era nata e dall’altra che aveva portato dal di fuori idee, sentimenti e aspirazioni nuove, e più moderne.