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Correva voce per Roma che si facessero arrolamenti in segreto dal Vaticano, e che gli zuavi e gli antiboini tornassero alla spicciolata. Se ne parlava tanto, che Crispi fece una interpellanza alla Camera su queste voci di arrolamenti. Il Visconti-Venosta gli rispose che era cosa da ridere, perchè i paladini del Papato volevano riconquistare la Francia a poi venire a cacciarci da Roma. Ma intanto qui la polizia aveva scoperto le fila della «Crociata Cattolica» in una litografia al Corso, dove si stampavano i cartoncini, e presso il padre Vincenzo Vannutelli a Santa Sabina, sull’Aventino. Per evitare nuove note dell’Antonelli e per non provocare disordini, la questura dunque proibì la mascherata satirica. E fece bene, perchè ogni inezia suscitava disordini e non ce ne furono pochi a proposito delle prediche del padre Curci prima a Sant’Ignazio e poi a Sant’Andrea della Valle, e per causa del padre Tommasi, che predicava al Gesù. A Sant’Ignazio i disordini incominciarono anche prima a proposito di un triduo. La questura vi aveva mandato due agenti, il Pasanesi e il Castagnola, i quali durante la benedizione s’inchinarono profondamente, senza inginocchiarsi. Il marchese di Baviera, direttore dell’Osservatore Romano, nell’uscire conoscendo il Pasanesi, gli battè sulla spalla e gli disse a voce alta: «Questo non è il contegno che si ha in chiesa; dovete ricevere la benedizione in ginocchio, intendete, in ginocchio. Nei vostri uffici comandate voi, ma in chiesa comandiamo noi».
Queste parole infiammarono gli altri devoti, che accostandosi ai due agenti li minacciarono. Alcuni giovani liberali volevano prender le difese degli insultati, i quali, per evitare un tafferuglio, entrarono nel vicino quartiere della Minerva.
Un giorno, verso la metà di febbraio, il padre Curci predicando a Sant’Ignazio a pro’ dei chierici sottoposti alla leva, disse che i romani liberali, erano «schiavi abbietti delle più abbiette passioni, che si lasciavano sedurre dalla facile gonnella di una sgualdrina». I non clericali, che erano in chiesa dettero in una solenne risata, rilevando la sconveniente allusione; i giornali riferirono quelle parole e il padre Curci, che già vedeva la mala parata, le rettificò con una lettera alla Libertà, assicurando di essersi espresso cosi: «Ed a cristiani educati a questa scuola (l’Evangelo) dovranno insegnare e portare libertà quattro cerretani politici, schiavi abbietti di più abbiette passioni, che non sanno resistere a un pollo arrosto, ad un gruzzolo di marenghi e, meno ancora, alla facile gonnella di una sgualdrina».
La rettifica giovò poco. Al Parlamento, ove lentamente discutevasi la legge sulle Guarentigie, di cui era relatore il Bonghi, fu presentata da alcuni deputati una aggiunta di cinque articoli con i quali si regolava l’espulsione dei gesuiti dal Regno. Questa aggiunta, oltre le firme del Bargoni, del Guerzoni, dello Zanardelli, del Civinini, del Corte e di altri, portava anche quella del Carini, padre di monsignor Isidoro, poi vice-bibliotecario della Vaticana.
Non ci voleva altro per dare un pretesto ai Romani di promuovere una agitazione contro la compagnia! Se ne fece iniziatore il serio e moderato Circolo Cavour, e le schede circolavano per la città e si coprivano di firme. Intanto i clericali facevano presentare un indirizzo al Papa, dalla principessa Orsini, corredato di 157 nomi del patriziato, il quale incominciava: «Padre Santo! coraggio; le vostre amarezze, sono le amarezze dei vostri figli.» Gli animi dalle due parti erano così eccitati, che bastava una guardata in cagnesco per suscitare disordini. E appunto perchè il tenente Santini, della guardia nazionale, guardò in cagnesco certi clericali all’uscire dalla predica del padre Tommasi al Gesù, venne insultato, e volarono bastonate; così dovette intervenire la truppa fare molti arresti. Pochi giorni dopo fuori della chiesa vi erano capannelli di liberali. Quando uscivano i caccialepri erano chiamati a nome e fischiati. Nacquero colluttazioni, si fecero venire due