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tone, il signor Cesare Brenda e il duca di Fiano. Le dame portavano già, come distintivo, la M in brillanti sul nodo di nastro azzurro.

Le prime passeggiate per la città, le prime serate al teatro, si cambiarono in calorose ovazioni. La Principessa andò al Pincio per la prima volta insieme con donna Flora Calabrini e col cav. Brenda, e dalle finestre le gittavano fiori, e tutti esclamavano: «Com’è graziosa! com’è bellina!» Fin d’allora, ella aveva conquistato il popolo di Roma con i suoi sorrisi, con la bontà che le traspariva dal volto giovanile.

Lunga sarebbe la lista delle persone che vollero esserle presentate. Fra gli uomini noto il duca don Romualdo Braschi, che era stato radiato dai ruoli della guardia nobile per avere inalberata la bandiera tricolore a Tivoli, il duca Lante di Montefeltro, don Maffeo Sciarra, don Mario e don Giulio Grazioli, il conte Fenfranelli-Cybo, il conte Trocchi, il conte Emilio Malatesta, il marchese Catpranica e molti altri.

Fra le dame del patriziato la marchesa Lavaggi, la principessa Del Drago, donna Agnese Ruspoli, le contesse Gabriella ed Ersilia Lovatelli, la duchessa di Sermoneta, la contessa Troili, la duchessa Lante, la principessa di l’enosa, la marchesa Del Grillo, la duchessa di Fiano, la contessa Cini, la marchesa Gavotti.

L’accoglienza fu dunque affettuosa da parte di ogni classe di cittadini, così per il Principe che per la Principessa, e ogni volta che si facevano vedere in pubblico, pareva che fossero allora allora giunti, tanto venivano acclamati calorosamente.

Anche questo arrivo dette luogo al cardinale Antonelli di fare una protesta ai rappresentanti delle potenze, e da quella protesta stacco un brano, a titolo di curiosità:

«Ieri (23 gennaio) a quattro ore dopo mezzodì, il principe Umberto di Savoia e la sua sposa hanno fatto il loro ingresso solenne a Roma, e si sono installati nell’appartamento del Santo Padre al Quirinale, intieramente trasformato ed appropriato al nuovo uso che si vuol farne. Perchè il popolo accorresse in folla e i Principi fossero l’oggetto di una dimostrazione di gioia, gli avvisi del municipio, gli articoli dei giornali, i proclami dei Circoli, avevano invitato la popolazione a recarsi in gran numero sul loro passaggio. Gli studenti dell’Università e quelli del Liceo, installati nel Collegio Romano, donde vennero espulsi i Gesuiti, dovettero del pari recarvisi colle loro rispettive bandiere. Tuttavia l’accoglienza presentò guari un carattere di festa, e se si eccettua un pugno di popolaccio, che accozzato nelle strade al suono della tromba che aveva alla testa, sul luogo medesimo circondava il corteo ed applaudiva i nuovi venuti, tutti gli altri curiosi, che sogliono riunirsi dappertutto, e per un motivo qualunque, serbavano un silenzio pieno di dignità.

«Quando i due viaggiatori furono saliti al quartiere destinato a diventare loro abitazione, quelli che durante il tragitto avevano gridato ed applaudito, si posero a richiedere la comparsa del Principe sul balcone principale del palazzo. Questo desiderio su prima esaudito che espresso. Si decorò infatti di un tappeto di seta rossa quella stessa loggia d’onde si annunzia al mondo cattolico l’elezione del Pontefice, Sovrano di Roma, Capo augusto della Chiesa; e il Principe e la Principessa si mostrarono al popolo. Alla sera volevasi che le case fossero illuminate; ma gli abitanti non si curarono di rispondere a questa esigenza, in guisa che la città rimase immersa affatto nelle tenebre».

Invece, come ho detto, ogni uscita dei Principi dal Quirinale, era una festa. Già prima che giungessero, il patriziato del partito bianco aveva incominciato a dar feste. Le aveva inaugurate il principe Doria. Gli onori di casa eran fatti dalla duchessa di Rignano, e a quei balli andava anche il conte Arnim. Poi avevano fatto ballare i Teano; gli Sforza-Cesarini arevano dato un pranzo in