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sforzi dei privati e delle associazioni. E a tal fine è mestieri che esso sia ordinatamente progressivo. Questo ideale di un Governo arditamente progressivo in tutto ciò che s’attiene alla scienza, alla ricchezza, all’istruzione, alla educazione, e in pari tempo profondamente conservatore dell’ordine politico, delle istituzioni, dei rapporti internazionali, questo ideale io so che è il vostro, e da ciò viene questa comunanza di affetti e di pensieri che ci riunisce in amichevole banchetto».

Il Minghetti, che era stato ministro di Pio IX nei momenti della luna di miele del Papa con l’Italia, non chiese, in questa sua prima venuta a Roma, un’udienza, come aveva fatto a Bologna nel 1858, perchè forse credeva che non gli sarebbe stata accordata, neppure all’ultimo momento prima del pranzo, come avvenne allora.

Durante il soggiorno del Minghetti a Roma, due collegi elettorali, il terzo e il quarto, dovettero procedere a nuove elezioni, perché il deputato del terzo, l’avvocato Marchetti, era stato dichiarato ineleggibile, e don Emanuele Ruspoli, deputato del quarto, aveva optato per Viterbo. Il Marchetti aveva rimosso le cause d’ineleggibilità, e i suoi antichi elettori lo riportavano candidato. Egli si trovava di fronte al Venturi, a Giuseppe Garibaldi, portato dal Circolo Romano. Nell’altro collegio, don Augusto Ruspoli aveva contro Biagio Placidi, sostenuto dal Circolo Bernini, e Mattia Montecchi. Trionfò il Circolo Cavour, e il Marchetti e il Ruspoli furono eletti. Garibaldi ebbe una meschina votazione.

Il 17 gennaio segna una data memorabile nella storia della Roma moderna, perché la Giunta municipale in quel giorno decreto l’espropriazione dei terreni compresi fra la Porta S. Lorenzo e Porta Pia, che inaugurò l’era della creazione di larghe vie soleggiate e ventilate. L’iniziativa però si deve al cardinale De Merode, il quale aveva comprato già alcun tempo prima diverse vigne fra la Porta Pia e la Stazione, fra San Bernardo e le Quattro Fontane, ed era di sua proprietà anche la caserma del Macao. Infatti, appena il generale Lamarmora annunziò che da quella caserma si sarebbero tirate le cannonate per salutare l’arrivo del Principe e della Principessa di Piemonte, egli protestò, dicendo che aveva permesso che alla caserma venissero i soldati, perché non vi erano locali, ma non permetteva che da quella si sparassero salve di gioia per un fatto che lo addolorava. Però le cannonate furono sparate lo stesso il giorno 23 gennaio.

Il Principe Umberto veniva qui in qualità di comandante del 1° corpo d’esercito, che comprendeva le divisioni di Roma, Firenze, Chieti e Perugia, per prendervi stabile dimora. Il capo di stato maggiore era il generale Morra di Lavriano, il primo aiutante di campo il generale Cugia; ufficiali di stato maggiore Ceresa, Taverna e Buschetti; ufficiali d’ordinanza Giannotti, Brambilla e Del Mayno, tutti eleganti e brillanti ufficiali. Accompagnavano la Principessa di Piemonte il marchese e la marchesa Villamarina di Montereno.

I Romani erano tutti lieti di avere una corte giovane al Quirinale. Il Principe e la Principessa godevano ovunque immense simpatie: Umberto, per il suo valore, per la sua schiettezza, per la sua bontà; Margherita per la dolce beltà del suo volto, per la gentilezza dell’animo.

A Roma i Principi Reali ebbero una vera ovazione nel giungere. Pioveva in quel giorno, ma la Principessa, a metà strada, volle che il suo landau fosse aperto, per contentare la folla che chiedeva di vederla. La guardia nazionale a cavallo, faceva ala sul passaggio del corteo formato dalle tre carrozze di corte e da quelle delle dame che erano andate a ossequiare la Principessa.

Questa trovava già la sua corte formata. Le prime cinque dame erano: la duchessa di Rignano, la duchessa Sforza-Cesarini, la marchesa Calabrini, la principessa di Teano e la principessa Pallavicini; i cavalieri di compagnia: don Marcantonio Colonna, don Giannetto Doria, duca di Valmon-