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solo, altissimo, lo acclamava. «Viva il Re galantuomo!» urlavano i Romani, riconoscendo che Vittorio Emanuele da Novara a Roma non aveva fatto altro che mantenere la promessa data agli Italiani di liberare la patria.
Se il Re fosse giunto in mezzo all’apparato di una festa, non sarebbe stato accolto con più entusiasmo che in quella piovosa e buia mattinata invernale. La gente accendeva fuochi di bengala e faci per rischiarargli il cammino, centinaia di carrozze piene di signore seguivano quella reale, il popolo si accaleava sulla via che conduce al Quirinale, e sulla piazza per vederlo al balcone, e gridare, ma il Re non si mostrò; perché avvenivano le presentazioni della Giunta, la quale fu poi di nuovo ricevuta alle 9 in forma ufficiale, guidata dal principe Doria, assessore anziano, il quale nel suo discorso notava che la venuta del Re dimostrava che egli era un vero padre per i suoi sudditi, e che, qual padre, accorreva a lenire le loro sventure. Il Re rispose ringraziando e annunziando che metteva a disposizione del municipio un’altra offerta di 80,000 lire.
Poco dopo il Sella ne consegnava al principe Doria 200,000.
Il Re riceveva pure i deputati di Roma, i professori degli ospedali e altre autorità. Durante la cerimonia lo squadrone della Guardia Nazionale a cavallo si schierava nel cortile del Quirinale. insieme con un reggimento di fanteria e con una legione di Guardia Nazionale a piedi.
Alle 11 il Re usciva preceduto da un drappello di Guardia Nazionale a cavallo. In quella scorta d’onore del primo Re d’Italia, vi era il fiore del patriziato romano.
Vittorio Emanuele visitava alcuni quartieri inondati e la sua presenza ridava a tutti il coraggio; Roma si destava dallo sbalordimento della sventura e aveva fiducia nel suo Re.
La sera Vittorio Emanuele ripartiva per essere a Firenze il 1° di gennaio per i ricevimenti del Capo d’Anno. Alla stazione tutti gli gridavano: «Torni presto, Maestà!»