Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 527 — |
Alpi si mescolavano con quelle dei nostri giovani soldati, dei tiratori, e dei forti ginnasti, venuti da ogni parte d’Italia, e di Germania.
Roma era in festa già da alcuni giorni, per la straordinaria affluenza di tutti quei patriotici pellegrini, che volevano sciogliere un voto, passando qui la data del venticinquesimo anniversario del XX settembre, ma il periodo ufficiale delle feste incominciò soltanto il 18 con l’arrivo dei Sovrani, ricevuti da tutti i veterani col petto fregiato di medaglie, dai ginnasti, e dalle autorità. Fra queste vi era don Felice Borghese, principe di Rossano, nuovo presidente della Deputazione Provinciale, rappresentante del patriziato romano. La presenza di uno dei Borghese era fatto significantissimo, e il Re volle che don Felice gli fosse presentato.
I Sovrani ebbero una entusiastica e prolungata ovazione nel recarsi al Quirinale, che si ripete quando nel giorno essi andarono ad inaugurare l’esposizione di Belle Arti.
Il 19 vi fu l’inaugurazione della Gara Generale del Tiro a Segno sulla pista di Tor di Quinto, e i Sovrani e il Principe di Napoli vi assisterono. L’on. Crispi fece un bel discorso in cui vibrava il sentimento nazionale e dichiarò aperta la gara al grido di: Sempre avanti, Savoia!
La mattina di quel giorno il Re e il Principe ereditario avevano assistito agli esercizi dei ginnasti al Velodromo e la sera vi fu un grande ricevimento al Campidoglio, che era stato preceduto da un altro offerto dal Sindaco ai rappresentanti di tutti i comuni del Regno. Facevano corona a don Emanuele Ruspoli tutti i consiglieri di parte liberale, e tutta la Deputazione Provinciale col suo Presidente. Il Sindaco concluse il suo discorso dicendo:
«Savoia, Roma, Italia, si fondono per noi in un pensiero uno e indissolubile, sono per noi la forza, la libertà, la patria».
I sindaci fecero all’on. Ruspoli una calorosa dimostrazione.
Il 19 arrivarono pure tutte le bandiere dei corpi che avevano preso parte alla liberazione di Roma e furono portate nel cortile del Quirinale.
Il 20 fu la grande, la indimenticabile giornata. Più di centomila italiani erano a Roma, commossi, lieti, orgogliosi di assistere alla grande festa. La quale s’inaugurò con una amnistia a tutti i condannati, a non più di dieci anni, dai tribunali militari, e a un’altra riduzione di un terzo della pena a quelli colpiti da condanne maggiori.
La mattina i Sovrani andarono al Gianicolo ad assistere alla inaugurazione del monumento a Garibaldi, modellato da Emilio Gallori. Il Presidente del Consiglio pronunziò in quella occasione un discorso politico enumerando i vantaggi che la Chiesa aveva ottenuti dalla perdita del potere temporale e la grandezza conseguita mercè l’Italia.
Il Sindaco parlò pure prendendo in consegna il monumento. I radicali si erano astenuti dall’intervenire alla festa, così che essa riuscì calma e solenne.
La processione alla breccia di Porta Pia, l’innumerevole corteo tutto gremito di bandiere, di reduci, di rappresentanti di società, fu cosa imponente e commovente, e la festa si protrasse fino alle ore più tarde della notte, sempre dignitosa, rischiarata dalle illuminazioni, allietata dalle musiche che percorrevano la città fra una folla immensa sonando inni patriotici.
Nei giorni successivi inaugurazione del monumento a Cavour, di quello a Minghetti ed a Cossa, del Ponte Umberto, premiazione di ginnasti e di tiratori, feste sul Tevere, girandola, e in mezzo al popolo esultante sempre il Re, simbolo di concordia fra i sentimenti della nazione e della monarchia, affermazione del presente, speranza dell’avvenire.