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Pensiero ed azione sieno pari all’altissimo intento, il quale sarà il vanto e l’onore della XIXa legislatura, che vado lieto d’inaugurare. La comunanza di aspirazioni e di affetti fra la dinastia e la nazione, su cui si estesero le nuove sorti d’Italia, abbia in voi interpreti fedelmente operosi; e il rispetto alla dignità di quelle libere istituzioni che sono la fede della mia Casa, vi ispiri nel preparare, saldo e luminoso, l’avvenire della patria italiana».
L’on. Crispi, la sera stessa dell’apertura della Camera, riunì la maggioranza, raccomandando l’elezione dell’on. Villa a presidente; l’opposizione portava il duca di Sermoneta.
Villa fu eletto con 268 voti, Sermoneta ne ebbe 156 e 8 Barbato; e l’on. Villa suscitò subito vivissima critica per la nomina della Giunta delle elezioni, nella quale fece entrare tanti nomi d’opposizione, da dare a questa la maggioranza.
Il Ministro del tesoro fece l’attesa esposizione finanziaria. Egli disse che l’esercizio 1894-95 si annunziava un anno prima con un disavanzo di 177 milioni, che salì poi a 195. Aggiunse che se si fosse riusciti a tener ferma la cifra di 414 milioni fra spese militari, contributo per l’Eritrea e lavori pubblici, per cinque anni sarebbe stato assicurato l’avvenire della nostra finanza.
Subito incominciarono gli attacchi contro il Governo per parte dell’on. Imbriani. Il primo si riferiva ai decreti che dovevano esser convertiti in legge e fu molto vivo. L’on. Crispi disse di accettare tutte le interpellanze ma non subito; dopo la discussione dei bilanci, e la Camera approvò.
Sulla discussione dell’indirizzo alla Corona, nuovo attacco d’Imbriani perchè il Ministro dell’interno nella seduta reale non aveva chiamato i nomi dei condannati, riusciti eletti. Nacque un battibecco a proposito dell’amnistia fra l’on. Costa e il Crispi; questi parlava di «clemenza sovrana» l’altro di giustizia. Da ciò un incidente fra l’on. Casale e l’on. de Andreis, il nuovo eletto di Milano.
Roma doveva procedere in quel tempo alle elezioni generali amministrative e mentre da un lato Cavallotti lanciava contro Crispi un nuovo libello, dall’altro qui gli si facevano vive istanze per fargli accettare la candidatura, ma la rifiuto.
Il presidente del Consiglio adunò la maggioranza e voleva dare spiegazioni sull’affare Herz; gli s’impedi gridandogli: «Non occupatevene!»
Alla Camera però si cercava ogni mezzo per discutere su quel fatto e furono presentate due mozioni; una dell’on. Sacchi e l’altra del duca di Sermoneta, con la quale s’invitava il Governo a trovare una soluzione alla questione morale, che intralciava e turbava i lavori parlamentari e toglieva autorità a prestigio alle istituzioni.
Allora un’altra proposta fu presentata per il rinvio delle mozioni a sei mesi. Il Crispi, che dicevasi sicuro della propria coscienza, volle che a quel rinvio fosse dato il significato del rigetto, e la Camera approvò con 283 voti la proposta. I moderati e i radicali votando contro riunirono 115 palle nere.
Ma prima di giungere a questo vi erano state sedute tempestosissime alla Camera, durante le quali il presidente aveva dovuto coprirsi.
La Corte di cassazione aveva dichiarato l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria tanto per fatti di azione pubblica quanto di azione privata, nel processo per la sottrazione dei documenti della Banca Romana. Il Guardasigilli interrogato dagli on. de Nicolò e Imbriani, rispose che non aveva proposte da fare, e il Pubblico Ministero non poteva promuovere nessuna azione.
Nelle elezioni amministrative, i liberali avevano dato prova di grande fiacchezza e questa permise che nel Consiglio entrassero 32 clericali. Nonostante il primo eletto, con 7862 voti, fu don