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Questo fatto fu considerato come una riparazione data ai francescani, cacciati dal cardinal Lavigerie da Tunisi, e si attribui all’influenza del cardinal Persico, dell’ordine dei cappuccini. Si disse pure che le trattative fra il Vaticano e il Governo italiano, per la mutua concessione, erano state condotte da monsignor Isidoro Carini, nel quale il Papa aveva grande fiducia, e che era amico del presidente del Consiglio, perchè il Governo riteneva che la nomina del patriarca di Venezia spettasse al Re, e il Vaticano non lo ammetteva, e intanto il cardinal Sarto, benchè nominato dal Papa, non poteva prendere possesso della sua carica.

Naturalmente il breve papale rispetto all’Eritrea fece nascere speranze di una conciliazione fra Chiesa e Stato e si credeva che quel fatto non fosse altro che un primo passo.

L’Osservatore Romano si affrettò a distruggere queste speranze con una nota nella quale diceva che il provvedimento del Papa non usciva dalla cerchia della consueta provvidenza con che la Santa Sede suole procedere in simiglianti casi» e che nella nomina del patriarca di Venezia, anzichè una recessione del Vaticano dalla sua prima posizione, vedeva una prova dell’equità del Governo italiano».

Però, più alto che le note del giornale clericale, parlavano i fatti, e questi se non dimostravano un accordo scambievole, davano però a divedere un comune desiderio di vivere nella maggior pace possibile.

Pochi giorni dopo questi fatti e precisamente il 10 settembre, inauguravasi a Napoli la lapide per rammentare l’intervento del Re dieci anni prima nei momenti tremendi della invasione colerica. Alla inaugurazione assistevano il cardinal Sanfelice e l’on. Crispi, il quale disse;

«Signor Sindaco, la società traversa un momento dolorosamente critico ed oggi più che mai sentiamo la necessità che le due autorità, la civile e la religiosa, procedano d’accordo per ricondurre le plebi traviate sulla via della giustizia e dell’amore. Dalle più nere latebre della terra è sbucata fuori una setta infame, la quale scrisse sulla sua bendiera «Nè Dio, nè Capi!» Uniti oggi nella festa della riconoscenza, stringiamoci insieme per combattere codesto mostro e scriviamo sul nostro vessillo: «Con Dio, col Re, per la patria».

«La formula non è nuova, è una logica illazione di quella di Mazzini dopo il plebiscito del 21 ottobre 1861. Portiamo in alto questa bandiera: indichiamola al popolo come segnacolo di salute «In hoc signo vinces.»

Le parole del Crispi confermarono la speranza in una conciliazione e a Roma ebbero un’eco profonda.

Tanto più che anche Giosuè Carducci a San Marino parlò di Dio, e i fogli radicali dissero che si era in piena reazione. Vi era invece in tutti il sentimento che occorresse combattere le idee distruggitrici con la religione, e col rimettere in onore le credenze abbandonate.

Il Papa dette una nuova prova di conciliazione nella scelta del capo della colonia Eritrea, nella persona del padre Michele da Carbonara, appartenente alle antiche provincie del Regno, e divoto alla monarchia, il quale prima di partire per la sua missione fu ricevuto dall’on. Crispi.

In occasione del 20 settembre il Re fece atto di clemenza concedendo l’amnistia a tutti i condannati dai tribunali militari a pene non superiori a un anno, e condonando un anno a quelli condannati a pene non superiori ai tre.

Il Sovrano firmò pure decreti di promozioni nell’esercito. Il Principe di Napoli fu promosso tenente generale e venne destinato al comando della divisione di Firenze; il duca d’Aosta fu promosso colonnello del 5° reggimento d’artiglieria, e il conte di Torino maggiore in Piemonte Reale.

In settembre mori a Castel Gandolfo il celebre archeologo cristiano Giovanni Battista de Rossi, e poco dopo S. E. il general Durando, già presidente del Senato.