Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 40 — |
verbale di tutti gli oggetti ivi rinvenuti, e quelli di pertinenza personale del Pontefice e della sua corte vennero rimandati al Vaticano.
Così la questione della residenza reale era risolta, ma quante non ne rimanevano ancora insolute! Gli ex-impiegati pontificii, astretti dal nuovo regolamento a rimanere 7 ore al giorno in ufficio, protestavano e si agitavano, specialmente perché dovevano prestar servizio la domenica; i gesuiti volevano riaprir le scuole al Collegio Romano, e i cittadini non volevano, e ne chiedevano anzi l’espulsione; così che il Luogotenente del Re e i suoi consiglieri, specialmente il Brioschi, non avevano poco da lavorare e da lottare, e gl’inviati del Governo per istudiare i locali da destinarsi a sede dei ministeri e degli altri uffici, lavoravano incessantemente per conciliare le esigenze dei ministri, con le condizioni degli edifici della città. Qualcosa si faceva, ma lentamente. Intanto nell’ottobre si era fusa con quella italiana la Regia Cointeressata dei Tabacchi Pontificii, che il marchese Ferraioli aveva in appalto, si sopprimera la Controlleria delle Dogane Pontificie, esercitata da una società privata, s’introduceva il servizio dei vaglia e si applicava alle nuove provincie la legge sulla stampa.
Questo faceva il Governo. Il popolo si preparava alle elezioni municipali e sfogavasi in dimostrazioni. L’anniversario della morte di Enrico Cairoli, e di altri generosi, che ricorreva il 22 ottobre, richiamò a Villa Glori, più di 10,000 persone. La madre e Benedetto Cairoli, non poterono assistervi. Da porta del Popolo mossero i 10,000 dimostranti, preceduti da bandiere abbrunate, e sui Parioli ne trovarono altri 2000.
Parlò, ascoltato con religioso silenzio, il senatore Conforti, Procuratore generale alla Cassazione di Firenze. Dopo letto il telegramma di Benedetto Cairoli, tutte le bandiere si raccolsero intorno all’ulivo sotto il quale era caduto il giovine eroe, lo ornarono di ghirlande e di fiori, e vi appesero lo stendardo della «Società dei Reduci», che fu decretato dovesse mandarsi in dono alla madre di Enrico.
Di lì a tre giorni nuova commemorazione alla casa Aiani al n. 97 in via della Lungaretta, ove tre anni prima gli zuavi avevano dato l’assalto al lanificio, sorprendendovi quaranta persone intente a lavorar le cartucce. I quaranta cittadini si difesero. S’impegnò un fuoco tremendo fra assaliti e assalitori. Questi chiesero rinforzi e il loro numero giunse a 600. In quell’assalto morivano, insieme col marito e col figlio di dodici anni, la Giuditta Tavani-Arquati, Paolo Giovacchini con i due figli Giuseppe e Giovanni, Cesare Bettarelli, Angelo Marinelli, Giovanni Rizzo, Augusto Domenicali, Enrico Ferroli, Rodolfo Demaggio e Francesco Mauri. Giulio Aiani, ferito, e Pietro Luzi furono arrestati, e dovettero alla indignazione prodotta in Italia e in Europa dal supplizio di Monti e Tognetti, se la loro condanna a morte fu commutata in quella della galera a vita. Il delatore, certo Luigi Rossi, sbirro, si nascose alla Magliana. Scoperto, fu trucidato nel bosco e il suo cadavere fu ritrovato dal cane di lui. L’uccisore, che era un trasteverino, noto a tutti, non fu arrestato.
Tutto il Trastevere partecipò alla terza commemorazione dell’eccidio, tutta Roma volle visitare quella casa, che fu la tomba dei martiri. Sulla porta vi era il busto di Giuditta Tavani-Arquati, e intorno bandiere, fiori e iscrizioni ricordanti i nomi dei morti. La gente entrava commossa in quella casa abitata in quel tempo dalla famiglia Salustri, ove i soffitti erano ancora crivellati dalle palle, ove sulle mura erano appiccicati brandelli di carne e si vedevano impronte di mani insaguinate, e ne usciva con le lacrime agli occhi. Ma le pie commemorazioni non erano terminate. C’era Mentana, che ricorreva il 3 novembre, e di questa commemorazione prese l’iniziativa la «Società dei Reduci». Vi andarono da Roma circa