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Il 23 novembre si riaprì la Camera sotto l’impressione dei vasti moti di Sicilia, dove scarso era il numero dei soldati, con le compagnie ridotte al disotto di un quarto dell’effettivo, e cattivo il servizio di pubblica sicurezza. Fu subito letta la relazione del Comitato dei Sette e da ogni parte volevasi che fosse discussa. L’on. Zanardelli, non potendo dominare il tumulto, usci dall’aula Il giorno seguente discutendo sull’ordine del giorno per la mozione Cavallotti, che voleva la pronta discussione, l’on. Imbriani si scagliò contro il banco dei ministri, dicendo che non erano galantuomini. Il Senatore Gagliardo, ministro delle finanze, gli rispose: «Io sono galantuomo più di lei, ritiri quella parola». Dalla estrema sinistra partivano invettive, alle quali rispondevano da altri banchi. L’on. Zanardelli peraltro riusci a calmare gli animi e dette schiarimenti sulla levata della seduta del giorno precedente. Ma mentre la Camera era ancora tutta agitata, si alzò l’on. Giolitti, annunziando le dimissioni del Ministero. «Noi desideriamo - egli aggiunse tornare al nostro posto di deputato per aver piena libertà di linguaggio su tutto e contro tutti». A queste parole partirono gridi all’estrema sinistra. «Scappate» urlavano alcuni, mentre l’on. Imbriani apostrofava il Giolitti, dicendogli: «Scivolate nel fango!» L’ex-presidente del consiglio, agitatissimo, rispondeva: «Per quanto faccia, non riuscirà mai a gittar fango, nemmeno sui miei stivali».
Ho riferito in parte quella scena per dimostrare a qual punto erasi arrivati.
Dimessosi il Gabinetto, l’on. Zanardelli ebbe incarico di formare il nuovo. Esso tentò di costituire un Ministero a larga base, che dal gruppo legalitario si estendesse fino al centro destro, comprendendovi gli onorevoli Ricotti, Saracco e Sonnino, ma il tentativo di assicurarsi questi tre uomini di incontestata capacità, fallì per il loro rifiuto. Allora lo Zanardelli componeva un Ministero di sola sinistra, nel quale si riservò la presidenza e l’Interno. Al generale Baratieri affidò gli Esteri, il Tesoro e le Finanze al Vacchelli, la Guerra al generale San Marzano, la Marina al vice ammiraglio Racchia, i Lavori Pubblici all’on. Fortis, l’Istruzione all’on. Gallo, l’Agricoltura all’on. Cocco Ortu e le Poste e Telegrafi al di Blasio. Era un Ministero di seconde figure, senza autorità e non visse neppure un giorno, perchè il San Marzano rifiutò e dopo di lui il Racchia e il Baratieri. Si volle vedere in questo rifiuto una ingerenza sovrana; vi fu chi disse infine che l’ambasciatore d’Austria avesse protestato contro la nomina del Baratieri a ministro degli Esteri, perchè inviso al suo governo. Tutte queste dicerie non avevano base; il San Marzano fu il primo che si accorse della sciocchezza fatta, accettando di far parte di un Ministero che non poteva essere vitale, e fece rinsavire i suoi colleghi.
La crise ricominciò e sulle bocche di tutti, com’era avvenuto anche durante la lunga gestazione del Gabinetto Zanardelli, correva un nome: quello di Crispi, del solo uomo che possedesse sufficiente energia e autorità per salvare il paese dalle sventure in cui avevalo piombato il Giolitti.
L’on. Crispi in tutto quel tempo era rimasto lontano dalla capitale, nella sua villa di Napoli. Il Re lo chiamò ed egli venne a Roma, e in sei giorni compose il nuovo Ministero. A sè assegnò la Presidenza e l’Interno, al barone Blanc gli Esteri, all’on. Sonnino le Finanze, al Boselli l’Agricoltura, la Guerra al generale Mocenni, la Marina al vice-ammiraglio Morin, i Lavori pubblici al Saracco, le Poste e Telegrafi a Maggiorino Ferraris, la Grazia e Giustizia al Senatore Calenda e il 20 dicembre presentavasi alla Camera, dichiarando che il Governo nuovo non era di partito, non rappresentava settori.
Fu approvato l’emendamento Rudinì per la pubblicazione parziale degli atti annessi alla Relazione del Comitato del Sette e la Camera si prorogò.