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scongiurata dalle provvide misure d’isolamento, ordinate dalle autorità, e una mattina si destò turbata dalla notizia di un vasto incendio, scoppiato nel bel palazzo Caffarelli in via Condotti, che pose in pericolo tutti gli inquilini di esso, fra cui la famiglia Fausti, salvata per miracolo; la famiglia del console generale di Portogallo, e quelle abitanti nelle case attigue, seriamente danneggiate. I vigili, sotto la guida del capitano Anderlini, che già aveva avanzata la domanda per essere esonerato dal comando di quel corpo, ed ebbe la notizia in quel giorno istesso, che era stato accettata, fecero prodigi, ma non poterono salvare il palazzo. Riuscirono peraltro ad isolare l’incendio e fu già molto.

Il comando del corpo dei vigili fu affidato temporaneamente al signor Curzio Colombo e dopo al comandante de Maria, che insieme col capitano Jonni lo riordinarono scartando tutti gli elementi inutili e accasermando una parte dei vigili alla Pilotta e provvedendoli di nuove macchine.

In passato quel corpo non funzionava bene, e si era veduto in molte occasioni, e in ultimo anche nell’incendio delle scuole israelitiche, avvenuto sui primi dell’anno.

I gravissimi disordini di Napoli, provocati dallo sciopero dei cocchieri, ebbero un’eco molto blanda a Roma, dove i cocchieri si misero in isciopero pure, ma non imitarono quelli di Napoli, che tennero la città in rivoluzione per diversi giorni. A Napoli fu mandato il Municchi a sostituire il Senise, revocato in seguito a quei disordini; a Roma venne il Cavasola invece del Calenda.

I disordini di Napoli erano avvenuti durante le grandi manovre navali, e mentre il Re era a Gaeta col Principe Enrico di Prussia, che aveva voluto assistervi, e poco prima che il Principe di Napoli andasse in Alsazia-Lorena per partecipare a quelle dell’esercito tedesco. Questo viaggio del Principe ereditario aveva offeso il sentimento nazionale dei francesi e i giornali di Francia ne avevano fatto quasi un casus belli; naturalmente quelli d’Italia di parte avanzata, lo avevano sfruttato per bersagliare il ministero Giolitti, il quale in quel caso pareva non avesse nessuna responsabilità, perchè l’invito era stato fatto direttamente dall’Imperatore Guglielmo al Principe ereditario, mentre era a Roma per le nozze d’argento dei Sovrani.

Il settembre fu un mese di calma. Si ebbe per altro la fuga del Monzilli, prima che gli fosse notificata la sentenza della sezione d’accusa, e le dimissioni del Ministro di grazia e giustizia Santamaria. Al posto di lui fu nominato il senatore Armò. In quel tempo incrudeli l’agitazione in Sicilia, promossa dai Fasci dei Lavoratori, e il Governo mandò nell’isola il comm. Sensales per rendersi conto del servizio di pubblica sicurezza, insieme col cav. Cassis.

A Roma dette molto da parlare il trasporto della sede della Massoneria dal palazzo Poli al palazzo Borghese, e i clericali se ne mostrarono indignati. Il Papa ne fu afflittissimo e non meno la famiglia Borghese, ma il palazzo era in mano dei sequestratari, ed essi potevano disporne come volevano per ricavarne il maggior utile possibile. Per quel fatto il Circolo di San Giovacchino presentò a Leone XIII le sue condoglianze.

Un altro scandalo nacque per il ricorso alla Suprema Corte di cassazione del procuratore generale Bartoli contro la sentenza della sezione d’accusa nel processo della Banca Romana, scandalo che ebbe lunghe conseguenze. Pietro Tanlongo ne minacciava altri, e aveva depositato presso il notaro Bertarelli un plico suggellato, che asseriva contenesse gravi documenti. Quel plico fu sequestrato dal giudice istruttore Capriolo.

Gli azionisti della Banca Romana si adunarono sui primi di ottobre e nominarono una missione, composta dell’on. Carancini, dell’on. Fortis e dell’avvocato de Dominicis per curare l’osservanza degli obblighi contratti dalle altre Banche con la convenzione del 18 gennaio. Il signor Ernesto Pacelli fu nominato sorvegliante della liquidazione.