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Re, nella quale affermava che Roma era chiamata all’alto destino di capitale definitiva del Regno. Questo bastò a suscitargli dimostrazioni affettuose. Egli abitava al palazzo di Firenze e una dimostrazione calorosissima, promossa dal «Circolo Romano» e guidata dal Pianciani, dal dott. Antonelli, da Giulio Aiani e dall’avv. Bussolini, andò a complimentarlo e ad esprimergli i voti di Roma. Sella non era in casa, e il Pianciani si fece al terrazzo e arringò la folla. La sera prima molti signori di Roma e molti membri della antica Giunta provvisoria, gli offrivano un banchetto da Spillmann, in Via Condotti, al quale assisteva pure il general Lamarmora.

La partenza del Sella si cambiò in una vera festa popolare; alla stazione erano migliaia di persone acclamanti a lui, a Roma capitale. Alla partenza del treno tutti gridavano: «Vogliamo il nostro Re!» e lo stesso grido si ripeteva la sera del 20 ottobre all’«Argentina» durante il ballo. I palchi si ornarono di bandiere, catene formate di nastri a tre colori si gettavano tra palco e palco in segno d’unione, si esponeva un busto del Re in mezzo ai fiori, si gettavano cartellini, s’illuminava un trasparente con la scritta: «Viva il 20 settembre», e la dimostrazione continuava per mezz’ora sempre caldissima, sempre affettuosa. Roma voleva ad ogni costo Vittorio Emanuele fra le sue mura, e voleva che alloggiasse al Quirinale, che, non essendo stato compreso nella capitolazione, spettava allo Stato per diritto. Ma intanto esso era occupato dal cardinal Berardi, proministro delle Belle Arti e del Commercio, e da alcuni svizzeri.

Una sera anzi, alle 9, il Cardinale tornava a palazzo in carrozza chiusa e trovò il portone chiuso. Il servo scende e domanda alla guardia il permesso di fare entrare il legno; la guardia ricusa, comunicando l’ordine di non far entrare nel palazzo legni chiusi, nè persone ignote. Il servo riferisce, e il Cardinale grida: «Dite che è il cardinal Berardi.» A quell’annunzio la guardia chiama il picchetto della Consulta, e fa render gli onori al porporato. Il Berardi dunque fu il primo cardinale al quale fossero presentate le armi, come stabiliva un decreto del Masi.

L’elemosiniere apostolico, cardinal Mattei, fu il primo membro del Sacro Collegio, che morisse a Roma, dopo l’occupazione. Egli spirò alla Consulta il 6 ottobre, e il suo corpo fu trasferito al Vaticano. Era salito ai sommi onori per mero caso. Nel 1814 quando il cardinal Consalvi venne a Roma, si diede a ricercare i preti che non si fossero sottomessi al «Sacrilego», come chiamava Napoleone I. Trovò il Mattei di Pergola, nelle Marche, che abitava alle Tre Cannelle e lo fece canonico, poi chierico di camera. Leone XII, indebitato, lo creò tesoriere, Gregorio XIV lo nominò segretario per gli Affari interni, e Pio IX elemosiniere apostolico. Era così ignorante che rispondendo a un francese il quale parlavagli degli economisti, gli disse credendo si trattasse degli enciclopedisti: «Non sapete che sono tutti scomunicati!»

Ma la questione del Quirinale fu lunga e la risolse militarmente il Lamarmora, dopo aver esperimentato l’inutilità dei mezzi conciliativi. Il giorno 8 novembre egli comunicava al Segretario di Stato Antonelli che doveva occupare il palazzo, e ne chiedeva le chiavi. Non giunse alcuna risposta, e allora il 9 a mezzogiorno si presentarono dinanzi al portone il cav. Berti, questore di Roma, il cav. Emanueli, commissario per il Demanio italiano, il signor Pietro De Angelis, rappresentante della Giunta municipale, l’ingegnere Comotto, l’ingegnere Riggi, l’architetto De Santis, i notari Tiratelli e Franchi, accompagnati dai loro giovani di studio, e dal fabbro-ferraio Giuseppe Capanna. Il portone era aperto e vi stava in sentinella un bersagliere. Salite le scale, trovarono sigillata la porta principale, che mette nel salone degli Svizzeri. I notari tolsero i suggelli, e il Capanna apri, alla presenza anche del marchese di Quesada di San Saturnino, ufficiale dei bersaglieri, comandante la compagnia di guardia alla vicina Consulta. Fu steso dai notai un minuto processo