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figurava, fra diversi nomi di persone che avevano avuto somme dalla Banca Romana, quello del de Zerbi. La cifra del danaro incassato da lui, superava le 400,000 lire, e si sapeva anche che il Bellucci-Sessa era l’intermediario fra il deputato e il comm. Tanlongo. Il Lazzaroni aveva dichiarato poi che quelle somme, date in più tempi, erano un compenso al de Zerbi per avere favorito al Parlamento gl’interessi della Banca.

Le accuse erano tanto più gravi, inquantochè Rocco de Zerbi era stato segretario della Commissione parlamentare che doveva riferire sul progetto di legge per la proroga del privilegio alle Banche di emissione.

E sempre per rendere più grave la situazione di Rocco de Zerbi, in quei giorni appunto si disse che il Tanlongo, nell’estate precedente, aveva ordinato alla casa Sanders di Londra per 40 milioni di biglietti, per coprire il vuoto di cassa esistente; che i biglietti erano giunti, e il Bellucci-Sessa avevali portati alla Banca, ma che essendosi accorti di quel fatto alcuni capi d’ufficio, avevano voluto che fossero distrutti.

Le accuse peraltro non colpivano soltanto il de Zerbi; si diceva pubblicamente, e si stampava, che il Giolitti aveva avuto somme dalla Banca Romana per le elezioni, in compenso della nomina del Tanlongo a senatore. L’on. Giolitti, interrogato su quel fatto lo negò sdegnosamente.

Con molta speditezza era stata esaminata dagli uffici la domanda a procedere contro l’onorevole de Zerbi, e l’on. Gallo presentò la relazione, che fu subito inserita all’ordine del giorno. La domanda, naturalmente, era stata accompagnata da alcuni atti dell’istruttoria del processo e fra quelli vi era la dichiarazione del Tanlongo, di aver dato cospicue somme a diversi presidenti del Consiglio. L’on. Crispi protestò con lettera al presidente della Camera; l’on. Rudinì fece formale domanda, che fu ammessa alla lettura, per la nomina di un comitato inquirente, che esaminasse i rapporti proprii con la Banca Romana.

Dietro preghiera dell’on. Giolitti, il quale disse che l’on. Rudinì non poteva esser sospettato da alcuno, la proposta fu rinviata. La Camera peraltro votò subito all’unanimità, eccezion fatta dei ministri, l’autorizzazione a procedere contro Rocco de Zerbi.

Poco dopo che la Camera prendeva questa grave deliberazione per appagare il desiderio del de Zerbi, il quale sperava lavarsi dall’accusa gravissima, la notizia di un nuovo arresto, si spargeva per Roma. Michele Lazzaroni, il giovane ricco, invidiato da tutti, lo sportman elegante, l’artista, colui che aveva condotto i tiratori italiani in Francia, che aveva pochi mesi prima pubblicato un lavoro importante su Cristoforo Colombo, l’uomo al quale pareva che la fortuna arridesse sempre, era stato arrestato nel suo bel palazzo di via de’ Lucchesi, e condotto al carcere di Regina Coeli sotto l’imputazione di avere, nella sua qualità di reggente della Banca Romana, aperto un forte conto corrente a sè stesso, e un altro al pittore Peralta, amico suo.

Era una ridda di milioni scomparsi, inghiottiti non si sapeva come, che balenavano a ogni nuovo arresto, dinanzi agli occhi del popolo oppresso dalla miseria, e che di questa miseria incolpava gl’imputati.

Una conferenza tenuta dal Sindaco, dall’on. Baccelli e dal ministro Giolitti per concretare il disegno della esposizione di Roma, provocò una interrogazione dell’on. Odescalchi. Egli disse che non aveva fede nei promotori, e nessuna nella commissione finanziaria per l’esposizione, e pregò il Governo ad andar cauto. L’on. Giolitti, che già sullo scorcio dell’anno precedente aveva dichiarato che avrebbe accordata la concessione della lotteria e la cessione del maggior introito del dazio consumo al Comitato della esposizione, ripetè le sue dichiarazioni, aggiungendo che se il Comune