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funzionario del Ministero di Agricoltura e Commercio, l’uomo al quale tutti i ministri affidavano missioni di fiducia, e che si può dire fosse una delle colonne del dicastero al quale apparteneva, fu arrestato in casa sua, in via Nazionale, sotto l’accusa di corruzione nell’esercizio delle sue funzioni, e anche lui fu condotto a Regina Coeli, ove già l’avevano preceduto altri tre commendatori.

In quello stesso giorno alla Camera vi era stata una seduta agitata e penosissima. Si era veduto l’on. Miceli, uomo di fama intemerata, difendersi strenuamente per provare che egli, come ministro, non aveva nulla da rimproverarsi, e mentre alla Camera si discuteva, in città e negli ambulatorii di Montecitorio parlavasi di trenta mandati di comparizione, spiccati dal procuratore del Re, e di cinque richieste di autorizzazione a procedere contro altrettanti deputati, e contro un ex-Ministro dell’interno.

Il nome del deputato più spesso e con più insistenza pronunziato, era quello di Rocco de Zerbi, del valoroso soldato, del brillante giornalista, di colui che a Casamicciola e in ogni sventura era stato il primo ad accorrere ed a farsi iniziatore di soccorsi. Rocco de Zerbi aveva numerosi amici in tutti i partiti, e una turba di ammiratori, così è facile figurarsi quale impressione facesse quella voce, che molti giornali avevano raccolta e propalata.

Il 28 gennaio l’on. Comandini interrogò il presidente del Consiglio sull’arresto del Monzilli, affacciando il sospetto che quell’arresto fosse stato eseguito per far pressione sulla Camera, come dicevasi, e per salvare il Governo. L’on. Giolitti, che figurava di non ingerirsi punto nella questione bancaria, ora che era entrata in una nuova fase, rispose che l’ordine era partito dal potere giudiziario; il Comandini replicò che era invece dovuto a quello esecutivo.

In quella stessa seduta, continuavasi la discussione sulle Banche, e il Bovio dimostrò la necessità della inchiesta parlamentare, il Diligenti pure, e il Colajanni, che la voleva fino dal dicembre, disse: «On. presidente, spesse volte ficcando il ferro chirurgico nelle carni vive si riesce a salvare l’ammalato.»

L’on. Chimirri, che era stato Ministro di Agricoltura e Commercio nel precedente Gabinetto e al caso per questo di conoscere le irregolarità della Banca Romana, trovandosi in una delicata situazione, disse che la Camera si occupava troppo dei sospetti che potevano pesare sugli uomini politici, e troppo poco della responsabilità di coloro, i quali avvicendaronsi al potere, e si mise a disposizione di lei.

L’on. Giolitti fu trascinato a far nuove dichiarazioni, e sperando di por fine alla discussione bancaria propose che fossero rinviate a tre mesi tutte le mozioni che si riferivano all’inchiesta parlamentare. Fu posta ai voti la proposta del presidente del Consiglio, e approvata con 274 sì contro 154 no.

Ma questa soluzione non poteva piacere a tutti quelli che volevano l’inchiesta e il giorno seguente diversi oratori parlarono sull’ordine del giorno, riaprendo la questione. Assisteva alla seduta anche Rocco de Zerbi, affranto e disfatto. Egli, con gesto straziante, battendo il pugno sul banco, chiese l’inchiesta, ma l’on. Zanardelli fece osservare che il regolamento vietava di riaprire una discussione già chiusa da un voto esplicito.

Il 1° febbraio fu presentata alla presidenza della Camera una domanda dell’autorità giudiziaria per procedere contro Rocco de Zerbi. Il Tanlongo nel suo interrogatorio del 24 gennaio aveva detto che la creazione dei conti correnti fittizi per somme ingenti, era una operazione alla quale aveva dovuto ricorrere per sopperire alle spese di pubblicità con l’intento di render l’opinione pubblica favorevole alla pluralità delle Banche. Inoltre negli appunti del cassiere, Cesare Lazzaroni,