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Il 1893.
In mezzo alle gravissime preoccupazioni ereditate dall’anno precedente, e che dovevano subito aggravarsi, sorsero in sui primi di gennaio due pettegolezzi, uno per la nomina del Cuppelli, capo del gabinetto dell’on. Grimaldi, a capo divisione, l’altro per quella del professor Attilio Brunialti a consigliere di Stato. La Corte dei Conti, asserivasi, non aveva voluto ratificare quelle nomine, e il Governo, il quale già era stato tanto attaccato per quelle di alcuni senatori, fu di nuovo preso di mira per queste. Ogni atto di quel gabinetto Giolitti, che si diceva fatale al paese, era acerbamente sindacato; infinita la schiera dei giornali ostili a lui, fiacche le difese degli amici, e l’opinione pubblica avversa, specialmente a Roma e nelle provincie del mezzogiorno, ove si accusava di spiccato favoritismo per quelle centrali e settentrionali.
Roma non è stata mai così agitata come in quel periodo di tempo, e l’agitazione manifestavasi specialmente nel ceto medio, dei commercianti e dei possidenti, minacciati di rovina, scontenti del Governo e sfiduciati.
Ma lasciamo un momento di osservare il quadro desolante della città in preda alle angosce economiche, per volgerla su altri.
Alla Corte, dopo una lunga assenza, era tornata la marchesa di Villamarina, e il posto di cavaliere d’onore della Regina era stato coperto dal marchese Ferdinando Guiccioli; due nuovi gentiluomini erano stati chiamati a far parte della corte della Sovrana: il principe Piero Strozzi e il conte Aldofredo Tadini.
La nomina del Guiccioli era stata accolta bene a Roma, perché il marchese è quasi romano per la madre - una Capranica - e per il lungo soggiorno fatto qui da lui e dal fratello.
Il Papa tenne sui primi dell’anno un concistoro pubblico e uno privato e impose il cappello a molti cardinali italiani e stranieri. Essi erano: monsignor Mario Mocenni, l’arcivescovo Guarino