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del giorno, perchè i consiglieri presenti all’adunanza privata sapevano bene che per quel concorso appunto, che il Baccelli voleva ad ogni costo, il Sindaco e la Giunta si erano dimessi.

La prima seduta autunnale del Consiglio fu tenuta la sera del 19 ottobre, e ad essa intervenne il Crispi, il quale, dopo la elezione a consigliere, saliva per la prima volta al Campidoglio. Il Sindaco gli rivolse un saluto assai cortese, rammentando quanto aveva fatto per Roma, e il Crispi ringraziò e ripetè ciò che aveva sostenuto più volte alla Camera, cioè che riteneva non si potesse scindere l’Italia da Roma e che alla capitale dovesse provvedere tutta la Nazione.

Questo scambio di cortesie fra il duca di Sermoneta e il nuovo consigliere, servì a trattenere un momento la burrasca. La sala consiliare era piena di operai, che fondavano grandi speranze sulla esposizione, e di partigiani del Crispi. Questi erano andati per applaudire, ma gli altri avevano intenzioni diverse contro il Sindaco, che era stato dipinto loro quale acerbo nemico della esposizione.

Il duca confermò subito questa opinione, dichiarando che lui e la maggioranza della Giunta erano contrari a qualsiasi concorso del Comune alla mostra di Roma, si trattasse pure di concorso morale per mezzo dei suoi rappresentanti, o di concorso materiale per aiuto di danaro.

La seduta divenne tempestosa e si fece sgombrare l’aula. Il Crispi ebbe una dimostrazione clamorosa, ma potè uscire e allontanarsi fra la folla, che riempiva la piazza del Campidoglio, senza esser riconosciuto. Il duca di Sermoneta fu fischiato.

La crise municipale, che si credeva scongiurata, scoppiò provocata dal Baccelli.

Nonostante, tutte le speranze di far desistere il duca di Sermoneta dal suo proposito non erano perdute, e il 24 con quest’intento fu tenuta un’adunanza privata di 40 consiglieri, sotto la presidenza del Libani. Si voleva ottenere che la discussione del concorso finanziario del Comune alla esposizione di Roma fosse rimandata a dopo quella del bilancio, e che su quel concorso in massima il Sindaco non ponesse la quistione di fiducia. Dall’adunanza fu eletta la stessa commissione per indurlo ad accettare questa specie di accomodamento, ma il duca insistè nelle dimissioni, soltanto accettò di rimanere in carica durante le elezioni politiche.

La città era divisa in quel momento in due campi: metà parteggiava per Sermoneta, metà per Baccelli, e si attribuiva a quest’ultimo l’intenzione di farsi eleggere sindaco per assicurare l’esito della Esposizione, mercè il concorso del Comune, che il Sermoneta negava assolutamente per non ripiombare il bilancio comunale nelle angustie del deficit.

Il Baccelli vagheggiava anche il concorso governativo e per questo erasi fatto promotore del banchetto all’on. Giolitti al Palazzo delle Belle Arti. Il banchetto avvenne il 3 novembre, e benchè fosse stato prescritto il democratico soprabito, contrariamente all’uso invalso in siffatte riunioni, nelle quali tutti gl’intervenuti solevano vestire la giubba, pure il banchetto stesso fu servito con molta eleganza e la quota che si pagò fu di 30 lire. Vi assistevano 70 senatori e più di 100 deputati; inoltre i senatori che aderirono all’invito furono 132, e 248 i rappresentanti della disciolta Camera elettiva.

Il Baccelli nel presentare il presidente del Consiglio, lo addito come una nuova speranza e in quella presentazione non mancò di far cenno della sua idea fissa sulla Esposizione.

Il discorso del Giolitti fu piuttosto un discorso da amministratore che da uomo di Stato, ma in quel momento l’Italia era così moralmente depressa, così abbattuta dalla crise finanziaria, così timorosa, che se ne contentò, specialmente perchè il Giolitti confermava il suo proposito di voler fare economie, e una politica tutta rivolta al miglioramento delle finanze.