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In quel giorno l’on. Giolitti, già scosso nella sua posizione, dette prova di coraggio chiedendo che la Camera votasse subito le leggi urgenti e accordasse sei mesi di esercizio provvisorio al Ministero per il bilancio 92-93.

A Montecitorio vi fu in quel tempo una crise presidenziale provocata dalle dimissioni dell’onorevole Biancheri, il quale, pregato, ritornò a presiedere l’assemblea legislativa, e dopo questo incidente i lavori ricominciarono. Fu votato il trattato di commercio con la Svizzera e il progetto per l’immediata applicazione della clausula sui vini in seguito al discorso del ministro Ellena, la cui salute già ispirava serii timori.

I preparativi per il 1° maggio erano avvenuti allorché l’on. Nicotera era ancora ministro dell’interno. All’Associazione dei Tipografi a San Bartolomeo ai Vaccinari si erano riuniti i membri delle società anarchiche e radicali deliberando l’astensione dal lavoro nel giorno del 1° maggio, l’offerta di una corona sulla tomba del Piscistrelli, ucciso l’anno precedente, e la pubblicazione di un numero unico intitolato: Il 1° maggio.

L’on. Nicotera, memore dei fatti dell’anno antecedente, proibì le processioni, fece sequestrare il giornale appena comparve, ordinò molti arresti e mise per cinque giorni la città quasi in istato d’assedio.

I soldati erano consegnati nelle caserme, le Banche guardate da picchetti, altri soldati stavano riuniti in alcune case in vicinanza delle porte, perché si temevano riunioni di rivoltosi fuori delle mura, e mentre drappelli di cavalleria perlustravano giorno e notte le vie suburbane, grosse pattuglie percorrevano quelle urbane.

Queste precauzioni ebbero efficacia d’impedire qualsiasi moto; ma i cittadini ancora intimoriti dal ricordo di quelli del 1891 stettero chiusi in casa e molte botteghe non si aprirono punto in tutto il giorno; Roma pareva un deserto.

Sulla tomba del Piscistrelli recaronsi le mogli dei due condannati, Latini e Avanzini, e vi deposero una corona con questa iscrizione: «Le compagne di fede un fiore una promessa». Già in primavera una folla di persone ricche, di amatori d’arte si era riunita per più giorni nelle sale del palazzo Borghese per assistere alle vendite della mobilia e delle ricche suppellettili della grande famiglia papale. In giugno i bibliofili facevano ressa nelle sale terrene, dove era stata trasportata l’importante biblioteca della famiglia di Paolo V. I locali nei quali un tempo era collocata la collezione dei quadri Borghese, affittati all’antiquario San Giorgi, accoglievano la biblioteca, che era messa in vendita dal Menozzi, e mentre nelle sale superiori si erano vedute contendere dagli acquirenti le preziose memorie della bella Paolina; qui si videro disputati i libri rari, che specialmente il dotto cardinal Scipione aveva procurati alla sua famiglia. Le due vendite furono un avvenimento non solo per Roma, ma per tutta l’Italia, e destarono maggior interesse che le pratiche fatte dal Ministero della pubblica istruzione, per mezzo del professor Venturi, per ricuperare a Parigi i quadri spariti dalla galleria Sciarra, pratiche che non ebbero nessun frutto.

In quella primavera si era costituito a Roma un comitato, del quale era presidente il principe don Alfonso Doria e segretario generale il comm. Guglielmo Castellani, per festeggiare nell’aprile successivo le nozze d’argento dei Sovrani. Il comitato aveva fatto appello al sentimento degli italiani per raccogliere somme da destinarsi a quello scopo gentile e pratico insieme. Il Re in sulle prime non si occupò di quel fatto, ma quando vide che i disegni per le feste si allargavano, mercè le numerosissime adesioni che al comitato pervenivano da ogni parte d’Italia, manifestò con un dispaccio al presidente del Consiglio l’alta volontà sua e della Regina; e questa era di non accoglier doni, di non volere che si aprissero sottoscrizioni a quello scopo.