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Le autorità politiche e amministrative, terminata la cerimonia, alla quale avevano partecipato tutte le numerosissime associazioni di Roma, furono invitate dal comm. Tanlongo a entrare nel suo palazzo e ad accettare un rinfresco. Credo che quella fosse la prima e l’ultima festa in casa Tanlongo.
Nell’anno successivo scadevano i trattati di commercio con l’Austria e con la Germania e la questione del rinnovamento di essi era molto seria, dovendosi aprire nuovi sbocchi ai nostri prodotti, e specialmente al vino, che non era più richiesto dalla Francia. Le trattative con i due Stati si fecero a Monaco fra i nostri delegati, che erano il comm. Malvano, il comm. Monzilli, il commendator Miraglia e lo Stringher, e quelli dei due imperi. Il trattato con la Germania fu presto concluso, ma l’altro incontrò serie difficoltà e i delegati austriaci dovettero andare più volte a riferire a Vienna.
Il 20 agosto, in piena calma estiva, fu pubblicato il decreto di scioglimento delle amministrazioni ospitaliere di Roma e di nomina del comm. Augusto Silvestrelli a commissario. Non giunse come una bomba, ma produsse un certo effetto e suscitò commenti, come ne suscitò pure il fatto che Menelik pagasse in quel tempo il debito contratto per lui da Makonnen con la Banca Nazionale. Si vide in ciò una nuova prova che l’infido non volesse avere nessun rapporto con l’Italia, e si suppose che a riunire la somma necessaria per il pagamento avesselo aiutato una nazione interessata a tenerlo separato da noi.
Il Comitato per l’Esposizione Nazionale da tenersi a Roma, aveva faticosamente raccolto un capitale di 700,000 lire, che era ben lungi però dall’essere stato versato, e in settembre ottenne di costituirsi in ente morale. Anche dopo quel fatto erano più quelli a Roma che non credevano all’esposizione, che quelli che avevano fede di vederla.
Il general Gandolfi, che aveva dato le dimissioni da governatore dell’Eritrea, aveva creato un conflitto di attribuzioni con l’on. Franchetti, inibendogli di alienare terreni per la colonizzazione. S’incontrarono a Roma e si batterono. L’on. Franchetti rimase leggermente ferito.
Una quantità di pellegrinaggi erano annunziati per quell’autunno; pellegrini francesi in gran numero, recrutati per la massima parte dai signori Harmel padre e figlio fra la popolazione operaia, e pellegrini della Gioventù Cattolica. I primi ammontavano a diverse migliaia, ma giungevano a mandate di 600 o 700 ed erano organizzati quasi militarmente. Il Papa li ospitò nel corridoio di Carlomagno e a Santa Marta; ampii refettorj erano destinati per i pasti, preparati in cucine speciali, alle quali presiedevano le suore di carità. I pellegrini più facoltosi abitavano negli alberghi, e appena un pellegrinaggio partiva, un altro giungeva.
Leone XIII li ricevè e si trattenne a parlare specialmente con gli operai, informandosi delle loro condizioni, delle loro aspirazioni con vera carità cristiana. Da più tempo, come lo aveva manifestato nell’ultima enciclica, egli s’impensieriva della questione sociale e provava piacere nel parlare con gente umile. Per dimostrare a quegli operai quanto avesse gradito il loro pellegrinaggio, scese pure il 29 settembre in San Pietro e disse la messa dinanzi a più di 40,000 persone. In città i pellegrini non erano molestati da nessuno, e neppure nella ricorrenza della festa per il XX settembre era avvenuto il minimo disordine, così si supponeva che il pellegrinaggio potesse compiersi pacificamente come nel 1888. Invece la mattina del 2 ottobre, mentre molta gente, come avviene sempre in quel giorno, visitava il Pantheon e andava a iscriversi nell’albo, entrarono pure alcuni pellegrini francesi della Gioventù Cattolica. Tre di essi chiesero al veterano di guardia la penna e scrissero tre volte sul registro «Vive le Pape»; uno di essi poi, in segno di sprezzo,