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quel giorno nelle vie, ove non si trovava una bottega aperta, circolavano in fretta pochissime persone, e nelle ore pomeridiane tutta Roma era avvolta in un silenzio di tomba; e neppure nelle strade più centrali si sentiva il rumore di una carrozza; soltanto lassù nell’estremo lembo del quartiere dell’Esquilino, si addensavano i soldati e la folla irrequieta.

Alle 11, allievi carabinieri, fanteria e bersaglieri cingevano da tre lati la piazza Santa Croce in Gerusalemme; nel centro vi erano altre 4 compagnie e numerosissimi carabinieri, nel fondo della piazza due squadroni di Foggia cavalleria.

Il palco per la presidenza del Comizio era stato eretto quasi nel centro della piazza. Alle 2 su quel palco vi erano gli onorevoli Ettore Ferrari, Maffi, Barzilai, il consigliere comunale Bianchi, Felice Albani, e l’avvocato Lollini, promotore del Comizio. Intanto giungevano, precedute da bandiere, tutte le rappresentanze dei circoli sovversivi «XX dicembre», «Barsanti», «Unione Emancipatrice» ecc. Quest’ultima aveva la bandiera verde spiegata con l’iscrizione «Vivere lavorando, morire combattendo». La «Federazione anarchico-socialista» fu accolta con applausi. Il Garofolo dichiarò aperto il comizio e subito prese la parola l’operaio Latella assicurando che per migliorare le condizioni degli operai era indifferente la forma di Governo. Egli invitò i compagni ad organizzarsi, ma a tenersi lontani dalle idee politiche. Le sue parole calme, che stonavano dopo tutta la propaganda violenta fattasi negli ultimi tempi, furono zittite. Dopo il Latella parlò il Piacentini in senso più accentuato; e per conseguenza fu più ascoltato. In quel momento Amilcare Cipriani fu condotto sul palco fra gli evviva e prese la parola il Liverani, anche più violento del suo predecessore Egli disse:

«Bisogna fare una guerra a coltello a quelli che ci opprimono. È tanto tempo che domandiamo legalmente i nostri diritti: otteniamoli con la forza».

Salì allora sul palco il Bardi, un giovinotto anarchico; e prese a dire:

«Questo giorno desiderato è finalmente venuto; venuto in modo solenne per noi affamati, sfruttati da una classe che tutto ci toglie a viva forza, persino i nostri fratelli, che ci fanno siepe d’intorno armati di baionette. Ma non ci sgomentiamo se questi poveri schiavi saranno costretti scaricare i loro fucili contro di noi: il nostro sangue sarà seme che frutterà.

«Questa classe dominante, frutto della corruzione e della infamia, deve essere abbattuta. Noi operai, oggi riuniti e uniti, sentiamo la forza di questo giorno solenne, non solo per noi, ma per tutto il mondo. Oggi forse qualcuno di noi sari sacrificato per questa causa; a quelle vittime mandiamo un saluto! Alle nostre miserie, per cui imploraste mercè dal Governo, questi rispose inviandoci nuovi reggimenti. Ma non li temiamo. Un ministro disse in Parlamento là dove non si fanno che leggi dannose all’umanità disse che la questione sociale essi si trovavano nella impossibilità di risolverla. Accogliamo quella dichiarazione perchè ci dice che dobbiamo fare da noi».

Dopo essersi scagliato contro la stampa pagata con i fondi segreti, e aver alluso al maggio fiorito, pieno di profumi floreali, esclamò:

«Spandiamo ora il nostro sangue per l’umanità; sacrifichiamoci, e lasceremo un’aureola per le generazioni future. È tempo di farla finita; decidetelo voi!».