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Il Re era nel suo studio quando avvenne lo scoppio e da quel punto elevato potè subito capire che era saltata la polveriera di Monte Verde. S. M. dette ordine che fosse attaccata la sua carrozza e andò immediatamente sul luogo del disastro. Per via s’imbattè nelle prime barelle, che trasportavano i feriti alla Consolazione; scese e vedendo in una di esse il povero capitano Spaccamela, lo fece adagiare nella carrozza del conte Giannotti, che seguiva la sua, affinché più sollecitamente potesse ricevere le prime cure, e continuò la via fino alla polveriera.
Dell’edifizio non v’era più traccia, il terreno circostante era coperto di sassi, di cartucciere spezzate e nel posto dove prima sorgeva la polveriera, vedevasi una buca profonda più metri.
I feriti furono ricoverati per la maggior parte alla Consolazione, ove il Re andò a visitarli, a San Gallicano, a Santo Spirito e a San Giacomo. Lo Spaccamela e il Cattaneo specialmente facevano pietà. Il primo non dava segno di vita e presso di lui vegliava intento, con gli occhi umidi di lagrime, il suo attendente. Il Cattaneo, che vidi dopo l’amputazione della gamba, non sapeva gli fosse stata tagliata e lagnavasi del dolore delle ferite. Il suo sguardo serbava quell’espressione smarrita di chi è stato esposto a un grave pericolo.
La maggior parte dei feriti erano agricoltori, che si trovavano nel momento del disastro disseminati nelle vigne vicine al forte. Un frate olandese, della Vigna Pia, che era ricoverato a San Gallicano, mi disse di essere stato avvertito da un operaio, poco prima dello scoppio, di fuggire. Le parole del frate mi parve che escludessero assolutamente la disgrazia e ammettessero il dolo, perchè come mai si sapeva prima che la sentinella desse l’allarme, che la polveriera doveva saltare?
Per tutto il giorno fu un continuo pellegrinaggio di gente a piedi e in carrozza a Monte Verde. Tutti volevano vedere, ma ben pochi riuscivano a giungere fino al luogo fatale, perchè i soldati ne impedivano l’accesso a fine di evitare nuove disgrazie. Ma pure ai feriti del primo momento se ne aggiunsero altri, i quali avendo raccolto cartucce, le facevano esplodere incautamente.
Gli on. Siacci e Antonelli interrogarono il Governo sullo scoppio ed ebbero ampie descrizioni del fatto, senza peraltro essere informati delle cause.
La Giunta comunale si costituì subito in comitato di soccorso e i giornali aprirono sottoscrizioni per i feriti e i danneggiati. Il cardinale Hohenlohe andò in persona a portare 1000 lire al ministro della guerra; il viaggiatore Schweinfurth dette un obolo eguale, il sindaco, duca di Sermoneta e il duca di Ceri offrirono 1000 lire, la Regina, dopo aver visitato le donne ferite alla Consolazione, inviò soccorsi per mezzo della marchesa di Villamarina,
La città era ancora sotto l’impressione del tremendo disastro, allorchè la notte del 25 la sentinella del forte Bravetta, a poca distanza da porta San Pancrazio, dette l’allarme per avere udito due colpi di fucile. La gente che abitava vicino al forte fuggì di casa, senza pensare a vestirsi, e andò a picchiare sgomentata alla porta San Pancrazio, che rimane chiusa durante la notte, per esser ricoverata in città. Questo nuovo fatto sgomentò, e corse voce di un vasto complotto anarchico per far saltare tutti i forti di Roma, tanto più che nella notte era stato arrestato il noto fornaio Calcagno mentre portava una bandiera rossa in Campidoglio, altri quattro anarchici la mattina con un’altra bandiera listata di nero, e in via dell’Aquila si faceva scoppiare una bomba di carta, e una seconda in Prati.
Fu dunque con l’animo presago di altre sventure che la popolazione di Roma vide sorgere l’alba del 1° maggio.
In quel giorno dovevano gli operai tenere il grande comizio in piazza Santa Croce in Gerusalemme, e i rinforzi di truppe venuti di fuori, non rassicuravano punto. Fino dalla mattina di