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Il 1891.
Roma, col 1° dell’anno, usciva dallo stato transitorio e il capo della nuova rappresentanza municipale prendeva possesso del suo ufficio. Il duca di Sermoneta aveva la soddisfazione, nel leggere le statistiche compilate dagli impiegati del Comune, di sapere che egli governava una popolazione più numerosa di quella di tanti principati di Germania, perché il numero degli abitanti della capitale era salito a 425,391, cifra rispettabile in confronto a quella del 1870.
Il 3 gennaio don Onorato presiedè per la prima volta il Consiglio e la Giunta che in quella radunanza venne eletta, era tutta liberale.
Sistemate ormai le faccende del Comune, la cittadinanza non si occupò più di quella quistione e l’attenzione generale si portò sul Vaticano, dove era stata introdotta una grande riforma.
Era maggiordomo di S. S. in quel tempo monsignor Luigi Ruffo-Scilla, già arcivescovo di Chieti e nunzio in Baviera, gran signore, amante dell’ordine e del decoro dei palazzi Apostolici.
Egli aveva spinto Leone XIII a fare importanti lavori in Vaticano, a fornirlo di comodità sconosciute fino a quel momento, ed avendo visitato molti musei da noi e all’estero, era umiliato nel vedere che mentre dal suo ufficio si rilasciavano gratis i biglietti per visitare il palazzo, gl’inservienti speculavano su quei biglietti e importunavano i visitatori per mance. Così, ottenuto il consenso del Pontefice, egli ordinò che i visitatori dei musei Vaticani pagassero una lira d’ingresso, come si paga in tutti i Musei dello Stato, e dopo avere aumentato lo stipendio degli inservienti, proibì loro di chiedere o accettare mance.
In Vaticano dispiacque l’innovazione ai colpiti, che guadagnavano benissimo in passato, e forse l’eco del loro malcontento giunse fino in città, dove di quel fatto molto si discusse.
Ma il bello si è che alcuni giornali liberali s’impennarono per quella disposizione suggerita