Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/441


— 429 —

servendosi delle somme a lui affidate. La rovina a Roma era proprio generale, e le case in costruzione abbandonate lo dicevano con triste eloquenza, e lo confermava l’annunzio della continua partenza di emigrati per il Brasile.

Ogni momento salpavano da Civitavecchia i bastimenti carichi di operai, che andavano soli o insieme con le famiglie in cerca di lavoro al di là dell’Oceano, perchè qui lavori non ve ne erano quasi più, e quei pochi che si proseguivano ancora non davano nessuna sicurezza che sarebbero stati continuati per più di un mese o due. L’on. Finocchiaro-Aprile per non interrompere quelli del Mattatoio a Testaccio, dovette farsi anticipare una somma sulle cartelle municipali dalla Banca Nazionale.

Ovunque nei nuovi quartieri le larghe vie erano tracciate, le case erano giunte all’altezza del secondo o terzo piano e anche fino al tetto, ma mancavano di affissi, d’intonaco e parevano già rovine. In esse si rifugiavano le famiglie prive di abitazione, e chiudendone le aperture alla peggio con assi e talvolta con cenci, facevano vedere quanta miseria vi albergasse dentro.

Questo avveniva anche nell’elegante quartiere Ludovisi, dove il principe Boncompagni aveva edificato, sui piani dell’architetto Koch, il più bel palazzo della Roma moderna, e dove il principe Borghese aveva sotterrato tanti milioni.

Le vie dei nuovi quartieri non selciate, prive di marciapiedi e scarsamente illuminate, facevano capire che la miseria privata era anche estesa al municipio.

Il Governo aveva fatto votare dai due rami del Parlamento il progetto del ministro Miceli per la creazione di un grande Istituto di Credito Fondiario, e in autunno si costituì la Società che doveva esercitarlo, ma in quell’anno non si poterono vedere i vantaggi che da quello si speravano.

La Società romana «Per il bene Economico» si fece iniziatrice di una Esposizione Nazionale a Roma, che volevasi far coincidere con la riunione del grande congresso medico, fissato al maggio 1893. Si lavoro molto per attuare quell’idea, ma vedremo dopo per quali ostacoli essa non potesse mai esser tradotta in fatto.

Dopo la metà di giugno, il Principe di Napoli era tornato dal suo lungo viaggio in Oriente, interrotto per la morte del Duca d’Aosta e ripreso in seguito. Aveva visitato una parte dell’Asia, si era trattenuto lungo tempo in Russia, e tornava avendo acquistato moltissime cognizioni artistiche e scientifiche.

La Regina venne qui da Napoli ad abbracciarlo, e quindi partirono insieme per Monza. Il Principe Reale tornò per seguire il suo reggimento nelle manovre al campo di Bracciano ed ebbe dal principe Odescalchi larga e cortese ospitalità. Il Re, che era rimasto lungamente a Roma per i lavori del Senato, fece una visita al campo. S. M. parti di qui di notte a cavallo e si recò alla Manziana, ove si svolgevano le manovre. Fu ricevuto in casa Tittoni dal senatore Vincenzo, dal deputato Tommaso, dalle signore della famiglia e dai Berardi. Dopo un breve riposo prosegui per Bracciano, ove ebbe da quella popolazione una entusiastica accoglienza e fu ospite egli pure di casa Odescalchi.

Lungamente era rimasta a Roma una missione del Sultano del Marocco guidata da Sid-Hagi, un bell’uomo dalla lunga barba. L’ambasciata era assai numerosa e abitava all’albergo di Roma. Tutto il giorno vi era folla dinanzi all’albergo per vedere entrare e uscire i componenti l’ambasciata, avvolti nei lungi borus bianchi. I marocchini parteciparono a tutte le feste di maggio. Essi recarono al Re una cordiale lettera del loro sultano e dieci bellissimi cavalli, che S. M. gradì molto. I componenti l’ambasciata ebbero doni ricchissimi e furono invitati a pranzo al Quirinale. Dopo Roma essi visitarono Firenze.