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sulla tomba del Gran Re, e andò al Quirinale. Umberto l’accolse con quella cordialità che usa ogni volta che egli trovasi insieme con militari, e le offrì un pranzo.

Il deputato Francesco de Renzis, nominato ministro d’Italia presso il Re dei Belgi, presentò le dimissioni alla Camera; qui giunsero due nuovi ambasciatori e presentarono le loro credenziali; il primo fu Zia-Bey, ambasciatore di Turchia, il secondo il signor Billot che veniva a coprire il posto del signor Mariani. Il Sultano, oltre l’ambasciatore ordinario, aveva mandato al Re anche il generale Issef, con incarico di fargli dono di quattro magnifici cavalli arabi.

Per sollevare la travagliata popolazione operaia, si pensò di fare grandi feste nel mese di maggio. Vi doveva essere a Tor di Quinto la inaugurazione della gara nazionale del tiro a segno, le corse, per le quali il Municipio aveva assegnato un premio di 100,000 lire e la mostra della Città di Roma nel palazzo delle Belle Arti.

A riunir premi per la gara si adoprava specialmente un comitato di signore presiedute dalla marchesa Gravina, moglie del Prefetto. Quel comitato, che teneva le sue adunanze al palazzo Valentini, lavorò davvero con impegno, e la marchesa seppe dar prova del suo tatto squisito, dirigendo le discussioni. Della esposizione si occupava un comitato speciale di cui era anima il comm. Guglielmo Castellani.

Ma intanto che con questo palliativo cercavasi di dar lavoro ai disoccupati, il Comune languiva. I consiglieri Baccarini, Baccelli e Grimaldi andarono dal Presidente del Consiglio per indurlo a dire in quale misura avrebbe concorso il Governo nel rialzare le sorti di Roma, e dopo si adunarono insieme con altri consiglieri al palazzo Sciarra, deliberando d’invitare l’on. Crispi a concretare i provvedimenti prima che la Camera prendesse le vacanze.

Era difficile che il presidente del Consiglio in quel momento potesse rivolgere il pensiero a Roma esclusivamente. Per tutto in Italia si preparavano moti per il 1° maggio e il Governo doveva prevenire disordini. Esso aveva proibito la festa operaia, e il Maffi interrogò subito alla Camera il Crispi, come ministro dell’interno. Nell’assenza di lui rispose il sotto-segretario di Stato, on. Fortis, sostenendo l’operato del Governo. In bocca a un uomo che fino a poco prima aveva fatto parte della frazione spinta della Camera, quelle parole fecero un curioso effetto e sollevarono molti comenti.

Per quel 1° maggio vi era a Roma un gran pànico e si facevano correre voci allarmanti. Ovunque erano consegnati i soldati e la città era percorsa da pattuglie miste di carabinieri e guardie; i picchetti erano stati rinforzati e se ne erano messi anche in quegli edifici di Banche ove non si vedono di consueto. Anche molti fra i più noti rivoluzionari erano stati arrestati. Nonostante queste misure, 200 operai si adunarono a Testaccio e furono dispersi; alla spicciolata tornarono ad adunarsi e furono sparpagliati e arrestati. Verso le 5 del pomeriggio vi fu un nuovo tentativo di aggruppamento in piazza del Popolo con l’intenzione di tagliare le condutture del gaz, un secondo di circa 300 persone in via dello Statuto, e un terzo di 500 in Prati. La polizia operò molti arresti, e gravi disordini non ve ne furono. Però la popolazione era intimorita e si vedeva pochissima gente per via. Il Re peraltro fece la sua solita passeggiata in phaeton e la Regina, mentre vi era l’assembramento in piazza del Popolo, passò per andare a villa Borghese, e fu applaudita. I Savoia mostrarono anche quella volta che essi non conoscono la paura.

Il 2 maggio i Sovrani inaugurarono la mostra della città di Roma, che si componeva di una sezione industriale e di un’altra artistica. Il numero delle fabbriche che vi avevano era molto grande, perché Roma ne conta poche, e non ha disseminato intorno a sè piccoli centri concorso non