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ricevutone il consenso, marciava su Keren, ove giungeva il 2 giugno. Il 26, in seguito a continue insistenze del ministro degli esteri, il Baldissera riceveva l’ordine di occupare l’Asmara, ma la marcia fu ritardata per il tradimento del quale fu vittima Debeb, e non fu ripresa altro che il 30: il 3 agosto le truppe entravano nell’Asmara.

Il 4 marzo l’on. Crispi presentò un secondo Libro verde sull’Africa contenente 236 documenti narranti le relazioni corse fra l’Italia e l’Abissinia dal 15 gennaio 1857, quando era al governo il Conte di Cavour, al 29 novembre 1889, data della ratificazione del trattato d’Ucciali. Il 5 marzo ne fu cominciata la discussione alla Camera. L’on. Franchetti parlò della colonizzazione e della fertilità dell’altipiano, l’on. De Zerbi, difendendo il Governo, disse che Massaua diventerebbe il centro del commercio del Sudan. Parlarono l’on. Martini, il Toscanelli ed altri, ed ultimo degli oratori fu l’on. Sidney Sonnino che con un elegante e brioso discorso, lodò l’opera del Governo, dicendo che parlava perché tra tanti biasimi risuonasse una voce lieta dei resultati ottenuti dall’Italia da un anno. Parlo della necessità di rivolgere l’emigrazione verso le nuove terre, disse che non era serio fare tanti piagnistei e jettature sopra ipotesi di pericoli simili a quelli di tutte le potenze colonizzatrici, riconobbe l’utilità del commercio col Sudan e terminò con una lode al Crispi.

Il Bertolè Viale si alzò per dire che i dissensi fra lui e il Presidente non furono mai gravi, e perciò egli era ancora al suo posto.

Il Crispi parlò pure di quell’impresa «che, sbollite le passioni ed esaminata con calma, sarà considerata come una delle maggiori glorie del paese». Disse che al punto al quale era l’impresa, fatta allo scopo di aprire uno sbocco all’emigrazione italiana, erano incomprensibili le opposizioni «e dalla fortezza del carattere italiano, dalla coerenza del Parlamento, si aspettava un voto di fiducia».

L’on. Menotti Garibaldi propose un ordine del giorno di lode, che la Camera approvò con 190 si contro 55 no.

Il figlio di Garibaldi fu molto biasimato per quella proposta, perché dalle file del partito avanzato veniva mossa una critica acerba per l’operato del Governo, e specialmente per la recente marcia dell’Orero su Adua, che aveva poi affidata al degiac Sebbat, e per aver dato assetto con decreto reale al governo dell’Eritrea, creando un governatore civile e militare, tre consiglieri parificati al grado di prefetti; uno per l’interno, l’altro per le finanze e il terzo per i lavori pubblici, al quale erano pure attribuiti gli affari commerciali e le trattative politiche con l’Etiopia. Il governatore dipendeva per gli affari civili dal ministero degli esteri, e per quelli militari dal ministero della guerra.

L’on. Menotti Garibaldi seccato dalla guerra che gli si faceva, dette le dimissioni da deputato. La Camera le respinse, ma egli volle mantenerle, e così fu dichiarato vacante un seggio nel secondo collegio di Roma.

Le cose locali andavano di male in peggio. Il Governo aveva sciolto l’amministrazione della Congregazione di Carità, della quale era presidente il duca Torlonia, e aveva nominato un commissario regio nella persona del comm. Ferro-Luzzi, consigliere di cassazione. La fuga del cassiere Baldacchini, il quale aveva lasciato un ingente vuoto di cassa, aveva provocato quella misura. Era fuggito anche il Ficatelli, economo dei Lincei e impiegato comunale, portandosi via una bella somma, destinata in parte ai vincitori dei concorsi indetti dal dotto Istituto. Contro gl’impiegati comunali, il consigliere avvocato Gallini lanciò serie accuse in Consiglio, e la Giunta si accinse a fare una inchiesta sul personale capitolino.