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rialmente Torino, si trovarono in dovere di dare una mano soccorritrice alla Banca Tiberina perchè la sospensione dei pagamenti non si convertisse in fallimento, che avrebbe distrutto la già rovinata finanza della capitale.
Il Consiglio della Banca Nazionale nominava una commissione composta dei signori Geisser, Cilento e Simonetti affinchè studiasse le condizioni della Tiberina e giudicasse se la Banca Nazionale poteva assisterla senza compromettere i suoi capitali.
La commissione, nominata il 30 agosto, terminava i suoi lavori il 5 settembre, e, dopo essersi anche messa d’accordo col Governo, riferiva al Consiglio che esistevano alla Tiberina più di 53 milioni di garanzie ipotecarie e che il patrimonio della Banca, valutato è vero a prezzi molto inferiori di quelli in commercio, ammontava a L. 10,000,000. Il Consiglio deliberò di venire in aiuto della Tiberina con 30 milioni.
Ogni gioia della Casa di Savoia è stata sempre una gioia del popolo, e Torino che più d’ogni altra città è legata da antichi e saldi vincoli alla Dinastia, fu rallegrata dopo i tanti e recenti dolori da una festa di famiglia. Il 22 giugno la duchessa Letizia d’Aosta aveva dato alla luce un principino; e il 7 settembre il cardinal Alimonda, nella cappella del palazzo della Cisterna, battezzò il piccolo conte di Salemi coi nomi di Umberto, Maria, Amedeo in presenza di quasi tutta la famiglia riunita da una così dolce circostanza.
«La Grecia ebbe i suoi Leonida, Roma i suoi Fabj, noi dall’alto del Campidoglio, ripeteremo alle genti — con una parola di un grande defunto — che abbiamo i nostri Cairoli»,
Cosi diceva il manifesto che era pubblicato dal Comitato per le onoranze a Benedetto Cairoli; e se la Grecia celebrò i suoi Leonida, se l’Urbs quasi innalzò altari ai suoi Fabj, la Roma moderna non fu da meno di loro, e il di 8 settembre, riuniti da un sacro ricordo, popolo e autorità resero solenni onori al defunto eroe e alla famiglia di lui.
Il 13 settembre la capitale con l’Italia intera si commoveva all’annunzio dell’attentato di Emilio Caporali contro Francesco Crispi, e si univa all’Italia e all’Europa facendo pervenire all’illustre uomo, nella villa del Rione Amedeo a Napoli, i rallegramenti per lo scampato pericolo e gli augurii per la pronta guarigione.
La crise romana ebbe tra le tante vittime il Comune che nel bilancio 1890, distribuito al Consiglio il 14 settembre, aveva un deficit di L. 6,121,466, principalmente causato dall’accrescimento degli oneri patrimoniali, dalle spese scolastiche e dalla diminuzione degli introiti del dazio-consumo, sintomo evidente delle tristi condizioni della capitale.
Questo disavanzo, circa un terzo, la Giunta proponeva fosse colmato da nuove tasse, che era certa che i cittadini non avrebbero rifiutato di pagare, visto lo scopo patriottico al quale miravano, e il resto da operazioni finanziarie.
I provvedimenti se non fecero buona impressione però furono giudicati necessari e rispondenti in gran parte ai bisogni: tutti capivano che per rifornire le esauste casse del Comune non c’erano che nuove tasse, e la Giunta proponendole si era anzi mostrata abbastanza parca.
Questo però non fu il giudizio del Consiglio, che respinse l’8 ottobre i provvedimenti con 17 voti contro 17.
Il bilancio del Piano-Regolatore non ebbe, quell’anno, nulla da invidiare a quello del Comune, e si chiudeva con un disavanzo di L. 11,849,435; e questo deficit si sarebbe potuto colmare vendendo i terreni municipali, ma la Giunta, con giustezza osservò, che il rimedio sarebbe stato peg-