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Rada, il Barambaras Gananė, il Bascia Caule, il Grasmai Desalaga con un seguito d’una trentina di persone, tutti inviati in missione presso S. Maestà il Re d’Italia dal Negus Menelick. La missione era accompagnata dal conte Antonelli e s’imbarcò nella rada di Zeila sul Cristoforo Colombo, che giunse in Napoli il 21 agosto.
Gli Scioani non arrivarono a Roma altro che il 26, e alla capitale furono ricevuti dalle autorità con gli onori dovuti ai principi reali. Ad essi fu destinata come dimora la Villa Mirafiori sulla via Nomentana, dove moltissima gente andava a visitarli e dove gl’inviati di Menelick fecero molto onore allo Champagne francese e italiano. Il popolo non prendeva sul serio quegli ambasciatori del re Menelick e per via li seguiva sempre con i suoi motteggi.
Il giorno stesso del suo arrivo, Makonnen con un pensiero doppiamente delicato si recava a Campo Verano a pregare sulla tomba del martire dei suoi paesi tropicali, del Massaia, e su quella del padre del suo amico, del conte Antonelli, morto due o tre giorni prima, al figlio del quale egli forse capiva, che l’Abissinia tutta doveva, in gran parte, la pace e la tranquillità, delle quali godeva e delle quali egli, Makonnen, veniva a ringraziare Umberto I, e a pregarlo di conservarle.
Makonnen visitò pure la tomba di Vittorio Emanuele II e, a nome suo e degli altri componenti la missione, vi depose una bellissima corona di fiori freschi.
Il Re era giunto, insieme col principe di Napoli il 27, e il domani riceveva in solenne udienza la Missione scioana, che gli recò splendidi doni.
Il Re era seduto sul trono, circondato dai ministri e dai dignitari, quando il Degiac col seguito entrò nella sala e si prostrò tre volte davanti a lui, secondo l’uso orientale. Il Re scese i gradini del trono e stese la mano all’ambasciatore, che in amarico disse:
«S. M. il Re d’Etiopia mi ha incaricato di presentare alla Maestà Vostra l’espressione dei suoi sentimenti d’amicizia.
Il mio re, ora padrone di tutta l’Etiopia, vuole mantenere col governo della Maestà Vostra i mi-. gliori rapporti, e perchè questi siano immutabili, firmò un trattato d’amicizia e di commercio.
A nome del mio re domando alla maestà Vostra l’alta sua protezione perchè in avvenire la pace e la sua tranquillità regnino in Etiopia e nei vicini possedimenti italiani.».
Il Re d’Italia gli rispose in Italiano:
«Ho udito con grande soddisfazione le vostre parole e lo ho intese. Sono lieto di sapere il vostro re padrone ormai di tutta l’Etiopia. Già siamo da lunghi anni amici fedeli e tali rimarremo. Di ciò sono garanti il trattato stipulato per il bene comune dei due paesi e la protezione che io ed il mio governo concediamo al vostro paese, di cui desideriamo sinceramente la prosperità e la pace».
Dopo le presentazioni d’uso e dopo un rinfresco, la missione lasciò il Quirinale per recarsi alla Consulta, ove fu ricevuta da Francesco Crispi. Il 28 gli Scioani partirono per il campo di Somma per assistere alle manovre, e poi visitarono Milano, Venezia, Bologna, Genova e quasi tutte le città del nord, e il 13 di settembre andavano a Monza ad ossequiare i Sovrani e quindi, dopo essersi fermati in qualche altra città, tornavano a Roma.
Il 27 la Banca Tiberina sospese i pagamenti, e, benchè la notizia non fosse inaspettata, dopo, la terribile crise nella quale si dibatteva Torino, destò una profonda impressione a Roma, che vide l’obbligo che sarebbe sorto di cessar gran parte dei lavori, poichè la Banca Tiberina ne era una delle principali assuntrici.
Il Governo e la Banca Nazionale, che avevano già aiutato, e aiutavano moralmente e mate-