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«Custoditela gelosamente, signor sindaco, questa prima pietra miliare che segna il cammino della nuova Roma».

Il Guiccioli rispose che ringraziava il Comitato esecutivo per avere affidato al patriottismo del municipio e del popolo di Roma il monumento a Giordano Bruno. Disse che Roma ha sempre rispettato ed onorato tutto ciò che è stato grande; «e moralmente grande, al di sopra di ogni altro, è colui che offre in olocausto la vita pel trionfo di un ideale», assicurò che Roma custodirebbe con cura gelosa quel monumento «che afferma il trionfo della libertà di coscienza ed esalta la sublime virtù del sacrificio».

Dopo il Guiccioli parlarono il sindaco di Nola e l’on Bovio, che fu spesso e giustamente interrotto da frenetici applausi.

Le feste si compierono senza incidenti, ma ai preti non andava giù questa esaltazione del loro eretico, e protestavano in mille maniere, e se la protesta ufficiale non era ancora uscita dal Vaticano, non doveva tardare e non tardò infatti. Il 30 giugno, Leone XIII, radunato il Sacro Collegio a segreto concistoro, comunicava ai cardinali un’enciclica alla cattolicità in protesta delle recenti e solenni dimostrazioni per Giordano Bruno.

Il Pontefice disse che dopo la presa di Roma il papato e la fede erano stati spesse volte oltraggiati, ma non mai come in quei giorni, nei quali si voleva imporre a Roma un primato d’empietà. Egli aveva veduto, come segnale di questa guerra, inalzare un monumento ad un uomo eretico ed impenitente, e che non ebbe nessuna qualità. Leone XIII si scagliò contro il Governo, rimproverandolo non soltanto d’avere permesso le feste, ma di avervi preso parte. Egli sentiva l’obbligo di denunciare al mondo l’oltraggio fatto a Roma e al cristianesimo, e lo faceva per la dignità del Pontefice e per quella inseparabile dell’Italia. Disse di poter mostrare a che cosa fossero ridotte le garanzie di coloro che un giorno promettevano al Papa venerazione, e che il giorno dopo minacciavano la sua stessa persona esponendola a pericoli, poichè l’autorità accusavalo pubblicamente d’esser nemico dell’Italia. A questo spettacolo sarebbe venuta meno la sua forza s’egli non fosse sicuro della protezione del cielo, ed esortò i cattolici tutti ad essergli fedeli, a difenderlo, ad esser pronti a qualunque sacrificio, ed a pregare Iddio perchè rimettesse le ingiurie fatte alla Chiesa, e desse luce e salute.

In giugno Roma era stata minacciata da una crise municipale, causata da un voto del Consiglio sulla tassa d’esercizio che la Giunta aveva proposta per colmare il disavanzo: fortunatamente si riusci a far desistere quei signori dal loro proposito e la crise fu scongiurata.

Il 1° luglio la Gazzetta Ufficiale pubblicava il Codice Penale, e il Re si rallegrava vivamente con l’on. Zanardelli per l’opera da lui compiuta.

Il 2 la direzione delle strade ferrate mediterranee faceva por mano ai lavori della stazione di Trastevere, che doveva aprire una via all’industrie della capitale.

Si ebbe in quel tempo a deplorare una grave perdita per l’arte. Morì Eugenio Terziani, l’autore dell’Assedio di Firenze, della messa per Vittorio Emanuele e del popolarissimo Libera me. Ogni classe di cittadini dimostrò rimpianto per quella perdita.

Nel mese di luglio fu un gran parlare della partenza del Papa da Roma e dall’Italia, cosa molto probabile dopo questa enciclica, e dopo quell’atteggiamento a vittima, che aveva preso da vanti al mondo cattolico; e il Crispi credeva possibile questa nuova Avignone, e, per smentire le voci che correvano nel mondo intransigente, e per mostrare al Papa stesso come l’Italia lo rispettasse e non fosse mai venuta meno alle guarentigie promesse, egli dispose un servizio di vigilanza per im-