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Il 1889.
L’anno che moriva doveva rimanere memorabile per i grandi avvenimenti europei, e, per noi italiani, soprattutto per quelli dei quali era stato teatro il nostro paese. Il 1889 sorse però tra mille incertezze, e incerti erano i pronostici che si potevano fare di esso, benchè fosse viva la speranza che sarebbe stato in molte cose migliore di quello trascorso.
Esso cominciò, come tutti gli anni, con una serie di ricevimenti ufficiali e di augurii più o meno sinceri.
Per la Befana i deputati ebbero un regalino da Crispi; ma non era un oggetto comprato a piazza Navona, bensì un decreto fabbricato dal Consiglio dei ministri e comparso nelle vetrine, vale a dire nelle pagine della Gazzetta Ufficiale, il 6 gennaio. La 2ª sessione della Camera era chiusa, e con un decreto del 10 gennaio venne convocata la 3ª sessione per il 28.
Questa s’inaugurò con la solita solennità, e il Re pronunziò in quella occasione un discorso pieno di pacifiche e promettenti assicurazioni.
Egli lodò l’opera compiuta dalla Camera nell’anno trascorso, disse che il nuovo codice penale, che unificava la giustizia in Italia, imponeva riforme penitenziarie le quali non solo punissero severamente, ma facessero ravvedere i colpevoli, e annunziò che sarebbe presentata una legge sulle Opere Pie, poichè «i germi della criminalità erano spesso alimentati dalla miseria». Egli annunziò pure una legge sulla colonizzazione interna per «offrire in Italia terre, forse più rimuneratrici di quelle che l’emigrante insegue». Se la miseria materiale doveva essere combattuta, si doveva anche