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Partito l’Imperatore, Roma tornò la Roma d’ottobre. Gli archi di trionfo scomparvero, le antenne furono abbattute, e di tanti ornamenti e innovazioni non rimasero altro che le guardie comunali a cavallo e la fontana di piazza di Termini con la vasca di granito e i leoni di finto bronzo. Quelle guardie erano poco numerose, ma necessarie in una grande città, soprattutto per regolare il transito delle vetture. Dire che i romani le accogliessero male, sarebbe mentire; le accolsero come tutte le innovazioni: col loro spirito satirico. Si racconta, e fu forse in uno di quei giorni di grande agglomerazione, che una di queste guardie ordinò a un vetturino di muoversi dal posto nel quale era. Il vetturino non rispose, la guardia replicò e l’altro zitto; la guardia ripetè l’ordine e l’auriga fece gli orecchi di mercante; il pizzardone a cavallo, impazientito forse, ordinò con più vivacità, e il cocchiere allora voltandosi rispose con gran calma:

«Avemo inteso, sor Marc’Aurelio!».

Pochi giorni dopo i Sovrani tornavano a Monza; il Re vi rimase fino alla vigilia della riapertura del Parlamento; la Regina non tornò che molto più tardi a Roma.

Il 20 ottobre fu solennemente inaugurato nell’Aula Magna dell’Università il congresso della Società Italiana di Medicina, dall’on. Guido Baccelli, con uno splendido discorso che riscosse lunghi applausi. Presero parte al congresso, oltre il Baccelli, molte celebrità mediche, tra le quali il Caldarelli, il Cantani, il Maragliano, il Grocco, il Marchiafava, il Mosso e il Galassi.

Pochi giorni dopo la chiusura del congresso, alla presenza di S. E. Baccelli, del prefetto, del ff. di sindaco e di una schiera di noti professori e dottori fu aperto un nuovo Istituto Chirurgico alla via Garibaldi. L’antico e sudicio locale sanitario era stato in settanta giorni trasformato in un elegante, arioso, allegro e pulito ospedaletto, dove i malati, oltre le amorose cure d’uno dei migliori chirurgi avrebbero trovata la calma, la pulizia e quel certo comfort che alleviano le sofferenze. E questa trasformazione da chi era stata operata? Dal prof. Durante, che aveva compreso di che cosa abbiano bisogno i pazienti, e che si era studiato di rendere l’Istituto Chirurgico, attraente, per quanto possa essere attraente un luogo di dolore. Ci era riuscito e tutti lodarono l’opera sua, come la lodiamo noi oggi.

L’8 novembre si riaprirono il Senato e la Camera.

All’approvazione del primo furono sottoposti il codice Zanardelli e la riforma comunale e provinciale. La legge comunale giunse al Senato debitamente modificata dalla commissione, della quale fu relatore il Finali, e approvata fu rimandata al Parlamento. Qui intanto si discuteva la legge di pubblica sicurezza, che passò subito al Senato, mentre questo rimandava a Montecitorio la riforma la quale fu subito presentata agli uffici e della quale fu iniziata la discussione il 21 dicembre.

In quel mese un nuovo lutto veniva ad aggiungersi ai lutti di quell’anno: il 15 cessava di vivere a Torino il prode ammiraglio d’Italia, l’avo del Re, il principe Eugenio di Carignano. Eugenio di Carignano fu un uomo di rare virtù di mente e di cuore, e se la Corte pianse il suo amato congiunto, l’Italia si associò al suo dolore sentendo d’aver perso uno dei suoi più cari figli. Il Senato commemorandolo e mandando le condoglianze al Re, non fece altro che esprimere i sentimenti degli italiani.

Il Senato aveva appena finito il suo lutto per la morte del principe Sabaudo, che commemorava un altro degno figlio d’Italia. Pasquale Stanislao Mancini era morto nella villa reale di Capodimonte di una lenta malattia, e su quel letto di morte del gran giureconsulto napoletano l’Italia sparse le sue lacrime; lacrime tanto più dolorose perché vedeva ogni giorno assottigliarsi le file dei nobili uomini, che l’avevano salvata, e che avrebbero potuto ancora salvarla, se ce ne fosse stato bisogno.