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avvertito, tronco lo spiacevole colloquio e chiese al Papa il permesso di presentargli il fratello e i personaggi del seguito. Avvenuta la presentazione, l’Imperatore si ritirò, fece una breve visita al cardinal Rampolla, traversò rapidamente le logge e le stanze di Raffaello, e sceso in San Pietro, risalì in carrozza insieme col suo ministro presso il Vaticano.

Secondo il piano prestabilito, avrebbe dovuto ritornare nelle sue carrozze al palazzo della Legazione, ov’era stata murata una lapide in ricordo della visita, e là, riprendere le carrozze della Corte italiana per tornare al Quirinale.

Ma invece, ridendo forse per non aver permesso al Papa di sfilare la corona delle sue querimonie, dette ordine ai postiglioni di tornar direttamente alla Reggia, dove condusse pure il signor von Schloezer, e sempre animato dalla solita allegria, raccontò subito al Re l’accaduto, e quindi, fatto chiamare l’on Crispi, consegnavagli le insegne dell’Aquila nera.

Al pranzo di gala, che ebbe luogo la sera stessa al Quirinale, il re Umberto pronunziò il seguente brindisi:

«Con profonda gioia e con viva gratitudine saluto nella mia Reggia, qui nella capitale d’Italia, l’imperatore e re Guglielmo II. La presenza in Roma del Capo di una grande Nazione e di una gloriosa Dinastia, alla quale sono legato da antica e salda amicizia, è nuovo pegno dell’alleanza stretta tra noi per la pace d’Europa e pel benessere dei popoli nostri.

«Bevo alla salute di Sua Maestà imperiale e reale il mio Ospite augusto. Le sue virtù mi affidano che Iddio gli serberà lungo e glorioso Regno.

«Bevo alla salute di Sua Maestà l’Imperatrice e Regina. «Bevo alla salute dell’esercito tedesco, tutela e gloria della Germania».

L’Imperatore, commosso, si alzò e rispose:

«Ringrazio la Maestà Vostra col profondo del cuore per le calde parole che Ella mi ha rivolto. L’accenno all’alleanza ereditata dai nostri padri trova in me vivace eco. I nostri paesi guidati dai loro grandi Sovrani conquistarono con la spada la loro unità. L’analogia fra le nostre storie implica il perpetuo accordo di entrambi i popoli pel mantenimento di questa unità, che è la più sicura guarentigia di pace. Le nostre relazioni hanno trovato la più viva espressione nella grandiosa accoglienza che la capitale di V. M. mi ha fatto. Io alzo il mio calice e bevo alla salute di V. M., di S. M. la Regina, e del valoroso esercito di V. M.»


La festa più solenne, più popolare e forse meglio riuscita fu la rivista di Centocelle.

La mattina del 13 alle 8 uscivano dal Quirinale S. M. la Regina con le LL. AA. le principesse Elisabetta, Laetitia e Isabella di Savoia, accompagnate dalle dame e dai gentiluomini.

Poco dopo, in carrozze con le livree rosse, lasciavano il Quirinale le LL. MM. l’Imperatore e il Re con i principi e gli ufficiali dei seguiti, e per la porta S. Giovanni si dirigevano al Campo della rivista. Al forte Casillino le LL. MM. e LL. AA. montarono a cavallo e, seguiti da un superbo stato maggiore, partirono al trotto per Centocelle.

Incontro ai Sovrani si fece il general Pallavicini, comandante il IX corpo d’armata; e, mentre le trombe intuonavano l’inno germanico, le LL. MM. entravano nel campo e andavano direttamente ad ossequiare la Regina e le Principesse, giunte pochi minuti prima, tra gli applausi e gli evviva di migliaia di spettatori giunti da Roma con i più primitivi mezzi di trasporto.

La rivista fu passata al mezzo trotto e durò quaranta minuti e chi non la vide può dire di