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l’Esposizione, e vi rimasero fino all’11 festeggiatissimi dalla popolazione, che da molto vivamente desiderava di vederli.

La morte di Guglielmo I, la visita dei Sovrani a Firenze, le ostilità della Francia, la situazione africana, i negoziati del trattato italo-francese sospesi, se non rotti, spinsero l’on. Bovio ad interpellare il Crispi sulla politica estera.

Il presidente del Consiglio rispose che l’Italia era alleata della Germania e dell’Austria con lo scopo comune del mantenimento della pace e dell’ordine in Europa, e che queste due alleanze erano le sole che convenissero all’interesse dell’Italia sul continente, come l’alleanza dell’Inghilterra era la sola che potesse convenirle sui mari.

In quanto ai rapporti colla Francia il Crispi disse che erano buoni (commenti) e che il Governo non avrebbe consentito ad una politica di aggressione contro quel popolo.

«Non bisogna dimenticare che l’Italia è, e deve svolgersi. Il Mediterraneo non diventerà un lago italiano, ma non deve esser nemmeno un lago francese».

Egli accennò ai sospesi negoziati dicendo che il giorno nel quale la Francia desse il beneficio in correspettivo a quello che chiedeva, non sarebbero certo gli italiani a opporsi ad un trattato foggiato però su basi diverse di quello del 1881.

Poichè ho alluso alla questione d’Africa devo rammentare che il 30 aprile la presidenza faceva distribuire ai deputati un Libro Verde sulla situazione della nostra colonia e sui rapporti del nostro Governo con gli altri nel continentė nero.

Il Libro Verde del 1° maggio conteneva la storia completa a base dei rapporti diplomatici degli avvenimenti svoltisi dal 29 ottobre 1884 al 4 aprile 1888. Riassumo alcuni di quei documenti.

Il 29 ottobre 1884 il Governo vide la necessità di occupare Beilul per non permettere ai francesi di troppo circoscrivere il nostro possedimento africano, e desiderò sapere se l’Inghilterra non avesse nulla in contrario a questa occupazione. Il Gabinetto di St. James rispose che non poteva disporre d’un territorio che non gli apparteneva, ma che non si opponeva al progetto italiano. Il Mancini, assicurato del consenso dell’Inghilterra, avvertì tutti i rappresentanti dell’Italia all’estero e notificò loro le ragioni che spingevano il Governo ad impadronirsi Beilul, mentre faceva imbarcare a Napoli per Assab un battaglione di bersaglieri, una compagnia d’artiglieria al comando del colonnello Saletta.

La Turchia e l’Egitto protestano, la Francia chiede schiarimenti; ma l’Italia non se ne da per intesa e, alla fine di gennaio, quando l’Egitto ritirò le sue truppe da Massaua, vedendo che la Turchia non si moveva per provvedere, occupò Massaua; nell’aprile estese le sue conquiste su Arafali e Arkiko, e avvertito il Negus, s’impadronì di Saati ed Amba al solo scopo di rendere sicure le strade e proteggere il commercio.

L’occupazione di questi punti non andò punto a genio al Negus e un vivo malumore si sollevò in Abissinia contro l’Italia, malcontento che il Governo credè poter far cessare annunziando l’invio d’una solenne missione nel novembre al Negus, ma continuò le occupazioni e ras Alula alla fine del 1886 scrisse una lettera non solo di protesta, ma di minaccia al Genè dicendo che se per la fine di gennaio non ritirava le truppe da Ca-a, e da Zula nella prima settimana di febbraio l’amicizia sarebbe cessata.

Genè rinforza Saati e Casa e domanda al Governo l’invio d’un solo battaglione, ma il 18 gennaio però telegrafa a Roma avvertendo che la missione Salimbeni è nelle mani di ras Alula se non si abbandonano i punti occupati, e il 25 dello stesso mese il conte di Robilant chiede al ministro