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Le cariche dello Stato, gli ufficiali e le signore che si recavano al Pantheon si incrociarono con gli ufficiali dell’esercito pontificio, con le dame e i signori del patriziato fedele alla S. Sede, che si rendevano alla vicina chiesa della Maddalena per assistere ai funerali del general Kanzler, comandante supremo delle truppe pontificie, e sottoscrittore della capitolazione di Roma nel XX settembre 1870. La salma deposta sopra un carro di 2ª classe veniva trasportata a Campo Verano quando passarono i pompieri con la fanfara, ma la questura aveva provveduto in modo che questi inevitabili incontri non dessero luogo a nessun disordine.
Il 19 i Sovrani collocavano la prima pietra del Policlinico «Umberto I» fuori di Porta Pia. Il Re e la Regina erano accompagnati dal Principe di Napoli, dalle dame e dagli aiutanti di campo di servizio. Il Ministero era rappresentato dagli on. Crispi e Coppino; la commissione governativa dal prof. Baccelli, dal prof. Durante e dal dott. Bastianelli; il Municipio dal marchese Guiccioli e la Prefettura dal comm. Guaita.
L’on. G. Baccelli pronunziò un discorso pieno di patriottismo, nel quale disse che l’Italia ricordava il Gran Re e «anche voi, o Sire, nel quadrato di Villafranca» e terminò dicendo:
«A voi spetta dunque, o Sire, nè soltanto come Re, ma perché padre affettuoso, perchè eroe consacrato alla religione della carità, a Voi spetta porre la prima pietra di questo grande monumento, a Voi decorarlo del vostro nome, perchè qui verranno i derelitti della fortuna a sentire gli effetti benefici di quell’amplesso immortale, che si daranno nel Vostro nome augusto la scienza e la carità.
«E Voi, piissima Regina, che trepidaste sui pericoli del Re, bella d’ogni bellezza soave e santa, presentendo qui l’alleviamento dei dolori umani: gioite nell’intelletto dell’amore materno, sicura della provvidenza di Dio».
Molti applausi salutarono la fine di questo breve, ma efficace discorso, seguito da un altro brevissimo ed opportuno del Guiccioli; quindi le LL. MM. procedettero alla posa della prima pietra.
Il Policlinico doveva essere per gli operai una sorgente di lavoro, ma non fu principiato subito, e questo ritardo, e le sospensioni dei lavori del piano regolatore, dell’Ospedale militare, della piazza d’Armi, del ponte Garibaldi e del Lungo Tevere, e la minaccia che la ditta Moroni sospendesse pure i suoi lavori diedero luogo a dolorosi avvenimenti.
Alla fine del febbraio e al principio di marzo infatti Roma fu spettacolo di seri disordini e ribellioni da parte degli operai disoccupati. Il 27 febbraio si contentarono di pacifiche dimostrazioni, e conferirono con gli on. Costa e Odescalchi, perchè interessassero il Crispi alla causa loro; il 28 i disordini cominciarono con atti di violenza contro i cascherini, ai quali, a viva forza, fu rubato tutto il pane che avevano nelle ceste; la questura fece arresti e rimpatriò molti operai, ma la crise operaia, chiamiamola cosi, benchè molti le dessero il nome di sobillazione interessata, non accennava punto a diminuire, anzi, il 1° marzo si converti in aperta ribellione. Alle 11, due o trecento persone sulla piazza d’Aracoeli gridavano: «Vogliamo lavorare» – «Vogliamo passare per forza», alludendo al fatto che tutti i cancelli e portoni dei tre palazzi municipali erano stati chiusi per impedire che fossero invasi.
I dimostranti andavano sempre aumentando, e al tocco erano quasi un migliaio. L’ispettore della sezione di Campitelli, che dirigeva le operazioni, visto forse che le sue guardie e suoi carabinieri, stanchi di resistere a quella folla, avrebbero ceduto, chiamò in soccorso un battaglione di fanteria, allineato sotto i portici dei musei comunali. Alla vista della truppa, che si avanzava con baionetta innestata, il popolo si precipitò sui soldati per rompere i cordoni, e le guardie dovettero fare uso delle daghe; allora vi fu un fuggi fuggi e parecchi furono i contusi.