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scopali, e che non giudicava opportuno l’intervento del potere esecutivo negli ordini giudiziari. Inoltre soggiunse che approvava la condotta dei magistrati, i quali mostravano di quanta libertà godesse la Chiesa in Italia. Peraltro il Governo non sarebbe rimasto indifferente e se una parte del clero non si fosse mostrata ossequente alle leggi, il Governo non avrebbe trascurato il suo dovere affinché non fosse minacciata l’integrità della patria, che era la gloria della nostra generazione.

Fra i nostri delegati e quegli austro-ungarici fu firmato il 7 dicembre il protocollo del trattato doganale e subito fu presentato alla Camera.

Il Re offrì ai delegati della nazione alleata un pranzo al Quirinale e vi era speranza che i due parlamenti ratificassero in breve il trattato.

La Camera votò il riordinamento dei ministeri. Il progetto Depretis era stato messo da parte e l’on. Crispi avevagli sostituito un contro progetto più semplice che concretava i concetti che sull’ordinamento dello Stato aveva il presidente del Consiglio. Con questo progetto di due soli articoli si stabiliva che il numero e le attribuzioni dei ministri dovevano esser regolati con decreto reale, e che ogni ministro aveva un sottosegretario di Stato, che poteva sostenere la discussione degli atti e delle proposte alla Camera.

Sulla votazione di questo progetto il Governo ottenne una stragrande maggioranza, che non diminuì in quella per il trattato di commercio con l’Austria-Ungheria. Ogni volta che i deputati erano chiamati all’urne, non si trovavano più di 20 0 22 palle nere.

Il Ministero ottenne pure che fosse approvata l’abolizione dei tribunali di commercio, ma prima che incominciassero le vacanze parlamentari, il presidente del Consiglio non potè annunziare alla Camera nulla di concreto sul trattato con la Francia. Le difficoltà erano enormi e le speranze di un accordo minime, benché sul finire dell’anno venissero qui il signor Teisserenc du Bort e Marié per riprendere le trattative.

I trattati con la Svizzera e con la Spagna furono prorogati fino al 1° marzo.

Due cardinali morirono in breve volger di tempo: il Bartolini e il Pellegrini, ma nel Sacro Collegio era sempre molto prevalente il numero dei cardinali italiani.

In ottobre cominciarono a giungere in Roma i pellegrini. I primi erano francesi e li guidava il cardinale Langenieux; i secondi pure erano francesi e alla stazione ebbero un’accoglienza poco cortese dalla folla che li aspettava. Poi giunsero man mano ungheresi, spagnuoli, austriaci, tedeschi, polacchi, inglesi, portoghesi, africani e americani così che sul finire dell’anno la città ne era invasa addirittura e si sarebbe potuto fare uno studio dei diversi tipi di uomini che popolano la terra.

Il Papa aveva posto a disposizione delle diverse parrocchie 100,000 lire; 10,000 ne aveva elargite all’istituto degli artigianelli, 10,000 ai ciechi di Sant’Alessio e 20,000 per sovvenzioni ai sacerdoti bisognosi e per doni agli insegnanti meno retribuiti delle scuole cattoliche. L’obolo si annunziava copiosissimo e già erano giunti a Roma i diversi inviati speciali delle corti straniere recando doni. Quelli per l’esposizione erano innumerevoli e per non accumulare alla stazione troppo lavoro, era stato ordinato che le casse destinate al Vaticano fossero scaricate sul binario che passa da porta Cavalleggeri.

Come inviati speciali di principi stranieri erano già qui il duca di Norfolk per la Regina Vittoria, il marchese de la Vega de Armijo per la Regina di Spagna, il duca d’Ursel per il Re dei Belgi, il barone Fabrice per il Re di Sassonia, il conte Brühl-Pförten per l’imperatore Guglielmo, il marchese Martens Ferrao per il Re di Portogallo e il signor De Schaubeck per il Re del Wurtemberg

La Regina d’Inghilterra aveva mandato al Papa un boccale d’oro con piatto, lavoro a rilievo