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che dopo la presa di Roma per parte dei Francesi, vi erano qui 11,000 affigliati all’Associazione Italiana, fondata da Cesare Mazzoni, per ordine del Mazzini, ma che ciò non significa che tutti quegli affigliati fossero repubblicani in quel tempo, e che molti in seguito furono guadagnati alla causa nazionale dalla propaganda che faceva il Governo italiano. Esso mandava a Roma continuamente emissari, ma non era largo di sussidi; in tempi ordinari spediva 5000 lire il mese, che servivano a facilitare le fughe, a provvedere ai bisogni del comitato. Il Lanza, andando al governo, soppresse quel sussidio. Era stato appunto il partito Nazionale, che aveva purgato Roma dell’elemento sovversivo, inducendo a partire i repubblicani che più si agitavano.

Le adunanze dell’Associazione Italiana si tenevano specialmente al palazzo Costa al Corso, dove è ora il negozio Cagiati, nel quartiere occupato dalla madre della signora Francesca Castellani, vedova Costa. Vi era in quel quartiere uno stanzino buio, chiuso da un pesante armadio. Quel nascondiglio non fu mai scoperto dalla polizia nelle si perquisizioni che fece nel quartiere, e in esso si rifugiarono anche i due fratelli Carlo e Giovanni Castellani, che erano ricercati e poterono fuggire travestiti da artiglieri francesi, insieme con una batteria francese che rimpatriava. Essi furono imbarcati con gli altri soldati a Civitavecchia su una nave del governo francese, che li condusse a Tolone, da dove vennero subito espulsi e si rifugiarono a Londra.

Dunque l’elemento repubblicano non era numeroso a Roma nel 1870, ma in giorni di confusione e dopo la liberazione dei prigionieri politici, avrebbe potuto provocare incidenti spiacevoli e il Cadorna non seppe provvedere a tempo. Quando insediò la Giunta già il popolo, o una parte di esso, ne aveva nominata un’altra, e i membri di questa Giunta popolare, vedendosi negato dai bersaglieri l’accesso al Campidoglio, protestarono e fremerono.

Il primo atto della Giunta fu quello di votare l’erezione di un monumento ai Caduti del 1867 e del 1870, di ordinare che una lapide ricordasse i nomi dei patrioti morti in esilio, in carcere, o sul patibolo, e di decretare la coniazione di una medaglia da distribuirsi ai soldati liberatori, e un soccorso di 10,000 lire da erogarsi ai prigionieri liberati e alle famiglie dei morti. Due sottoscrizioni erano state iniziate a questo scopo dalla Gazzetta del Popolo, giornale fondato il 22 settembre dall’on. Edoardo Arbib, e che si stampava nella tipografia Santucci, e a quel giornale fu appunto inviato l’obolo della Giunta. Un’altra deliberazione di quel consesso di cittadini fu quella di ordinare che sulle derrate esposte in vendita, fosse collocato un cartello col prezzo. Quella deliberazione vige tuttora e meraviglia chi viene a Roma, perché quei cartelli non si vedono in altre città.

In quei primi giorni della liberazione, alla corrente di simpatia per i nostri soldati, di cui si vuole che anche il Papa e Antonelli cantassero le lodi, giudicandoli dalla brigata dei granatieri di Lombardia, che vegliava attorno al Vaticano, si univa un profondo compianto per i morti e per i feriti. Il trasporto al Campo Verano del Pagliari e del Valenziani, assunse carattere di dimostrazione, come l’accompagnamento del tenente Paoletti alla stazione, dove venne portato per esser sepolto a Firenze, sua patria. Nei caffè si facevano collette pubbliche per i feriti al grido di: «Viva il Re! Viva i liberatori!» e i signori del Club di via delle Convertite, chiedevano al Comandante in capo, come favore, di vegliare i feriti negli ospedali. Le signore stesse andavano a confortarli e ad assisterli. Quando i feriti furono trasportati dalle ambulanze agli ospedali, il popolo gettava fiori Era un nobile slancio di carità e una affermazione di fratellanza che Roma dava ai prodi, che l’avevano restituita alle libertà.

E Roma si assuefaceva all’obbedienza e alla giustizia. Il general Masi, da Montecitorio, dove aveva il suo ufficio, aveva ordinato la restituzione delle armi, e subito si era vista piazza Colonna