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La sua morte se destò rimpianto fra gli amici, non suscitò nessun timore nel paese rispetto al successore, perché già designato a presidente del Consiglio era l’on. Crispi, e il Re nominandolo non fece altro che appagare i desiderii del popolo italiano.
Tutti i ministri andarono a Stradella ad assistere ai funerali, e vi andò pure il sindaco duca leopoldo Torlonia. Il Depretis era benemerito di Roma sotto molti rapporti, prima di tutto per aver voluto che la città prendesse quello sviluppo che si addiceva alla capitale del Regno, in secondo luogo per essersi sempre adoprato a scongiurare le frequenti crisi capitoline, così il Consiglio comunale votò 100,000 lire per erigergli un monumento.
Il Re venne subito a Roma per presiedere il Consiglio dei ministri e dal campo di Robiera, ove si svolgevano in quell’anno le grandi manovre, firmò il decreto di chiusura della sessione parlamentare.
Alla circolare del cardinal Rampolla ai Nunzi con la quale si respingeva ogni idea di conciliazione fra l’Italia e il papato, fece singolare contrasto un manifesto del comitato per la Esposizione Vaticana. Il manifesto di quel comitato, dopo aver invitato tutti i cattolici a preparar doni per la mostra, concludeva che il dono più gradito che si potesse fare al Papa era la composizione del dissidio esistente fra Chiesa e Stato.
Neppure in quell’anno all’Italia fu risparmiato il flagello del colera; il morbo infieriva in Sicilia, e specialmente a Messina, ove morirono anche il prefetto Achille Serpieri, il questore Galimberti e il funzionario di pubblica sicurezza Anielli. Il Re, che ha dato sempre l’esempio fra noi della carità, aveva già elargito in due volte 100.000 lire ai colerosi e alle loro famiglie, e appena giungevagli notizia della morte di quei funzionari telegrafava all’on. Crispi di volersi in parte addossare le spese per l’educazione degli orfani degli impiegati morti sulla breccia.
Anche a Roma vi furono diversi casi di colera e il cardinal Vicario visitava i malati al lazzaretto di Santa Sabina, amministrando la cresima a un carabiniere infermo.
Il 20 settembre l’on. Crispi scriveva al sindaco, accompagnando la nobile lettera con una prima offerta di 10.000 lire per l’istituzione di un ricovero per l’infanzia abbandonata. «Vuol essere questa data, egli scriveva, una significazione sociale, con opere che ne parlino all’avvenire preparando, degne alla patria, le nuove generazioni».
I coniugi Spierer si associano subito alla iniziativa del presidente del Consiglio, con offerta di 400 lire e si forma una commissione per il nuovo istituto, composta del duca Sforza Cesarini, del prof. Oreste Tommassini, del comm. Cantoni, del cav. Achille Grandi, del comm. Valerio Trocchi e degli avvocati Carancini, Bartoccini, Viti e Baldacchini.
L’on. Domenico Berti aveva invitato il presidente del consiglio a parlare a Torino, ma intanto che nel paese vi era una grande aspettativa per quel discorso, l’on. Crispi si recava a Monza e dopo aver conferito col Re, intraprendeva il viaggio di Germania. Di quel viaggio si occupò moltissimo la stampa italiana, ma più ancora quella francese, falsandone il significato. Era naturale che prendendo la direzione della politica italiana l’on. Crispi volesse abboccarsi con l’uomo di Stato, che era considerato come arbitro dei destini d’Europa, e intendersi con lui su molti punti. Ma non così fu interpretato in Francia quel rapido viaggio e si disse che il Crispi era andato a prendere gli ordini di Bismarck, e che l’Italia avrebbe sempre più orientata la sua politica su quella di Berlino.
Quel viaggio e la costituzione del corpo speciale d’Africa occupavano la pubblica opinione. Il corpo era posto sotto il comando supremo del tenente generale di San Marzano, e si