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le più belle collezioni d’Italia furono mandate alla Mostra dal conte Gandini di Modena, dal Guggenheim di Venezia, dalla signora Castellani, dal Simonetti e da quante signore possedevano stoffe o trine di valore. Inoltre la cattedrale di Pienza espose i ricchi arredi del tempo di Pio II, Orvieto mandò i suoi piviali, il Laterano la famosa dalmatica, il Governo francese alcuni dei suoi Gobelins e poi i Barberini i celebri arazzi di Urbano VIII, la casa reale gli arazzi di Torino e quelli pregevolissimi con la storia del don Chisciotte, Firenze alcuni dei suoi magnifici tessuti, casa Corsini i suoi damaschi, il duca d’Avigliana, il signor Le Ghait altri arazzi e stoffe, e poi tutte le fabbriche di tessuti, di ricami, di trine fecero a gara nell’esporre, cosicchè il palazzo delle Belle Arti con le pareti sontuosamente ornate di tanti ricchi tappeti, e tutto pieno di vetrine scintillanti d’oro e di seta, era una meraviglia, e forse non farà mai più così bella mostra di sè come in quei mesi in cui oltre gli oggetti esposti, vide girare nelle sue sale una folla così elegante di dame conoscitrici, e ammiratrici della indimenticabile mostra. La duchessa Torlonia ne era l’anima, ed ella con le sue mani gentili distribuì i premi agli espositori.
La Camera si era resa benemerita degli studi approvando un progetto di legge per la istituzione di una scuola di archeologia aggiunta alla scuola di magistero della facoltà di filosofia e lettere della Università Romana. Furono chiamati a insegnare in quella scuola i professori Comparetti, Lignana, Tomassetti, Milani e Lanciani; la Camera aveva votato pure la proposta Bovio per la creazione di una cattedra dantesca a Roma.
Essa non era stata avara nel decretare onori ai grandi italiani, poichè fra tutte le lotte di quel primo periodo parlamentare prendeva in considerazione la proposta, annuente l’on. Depretis, di innalzare un monumento a Mazzini.
Durante le forzate vacanze parlamentari si fece un grande armeggiare così nel campo dei ministeriali come in quello della opposizione capitanata dal Cairoli, e nell’altro dei dissidenti. Si capiva che con quella esigua maggioranza il Depretis non poteva governare, ma quali modificazioni egli avrebbe introdotte nel Gabinetto nessuno sapeva, perchè i giornali d’opposizione facevano mille induzioni cervellotiche, e quelli ligi al Ministero tenevano un linguaggio sibillino.
Peraltro il Gabinetto continuava a governare, tanto è vero che con un dispaccio disapprovava la condotta del Genè, il quale aveva dato alcuni assaortini prigionieri e 1000 fucili a Ras Alula per liberare la spedizione Salimbeni, e richiamava il comandante dei presidii d’Africa, mandando in sua vece il maggior generale Saletta, il quale aveva come colonnello comandato già la prima spedizione nel mar Rosso,
Fu molto notata in quel tempo la chiamata di Francesco Crispi al Quirinale, ove il Re lo trattenne a parlare lungamente, ma poco o nulla si sapeva delle vedute del Depretis, che aveva interesse di non farle indovinare. Cosi quando il 4 aprile fu annunziato che nel ministero entravano l’on. Crispi come ministro dell’interno, lo Zanardelli come ministro di grazia e giustizia; che ai lavori pubblici andava il Saracco, alla guerra il Bertolè-Viale, e che il Depretis serbava per sè la presidenza e gli esteri, non poca fu la sorpresa. Il Saracco e il Bertole-Viale indicavano che il Governo si appoggiava ancora sulla Destra, ma che cercava pure un valido sostegno a Sinistra, accogliendo nel suo seno due dei Pentarchi, anzi le due menti più illuminate della opposizione, che restava così sfasciata, mentre il Ministero si rinforzava immensamente. Il Depretis, malatissimo e infiacchito dagli anni, aveva fatto un colpo da maestro, che permettevagli di conservare il potere.
Il 18 la Camera si riapri ed il Biancheri credè suo dovere di rassegnare le dimissioni, ma ad