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Di romani erano morti a Dogali il capitano medico Nicolò Gasparri, il tenente Luigi Tofanelli del 7° fanteria, e Camillo Folchi.
Quando la crise ministeriale durava già da ventitre giorni e sulla soluzione di essa erano state fatte tutte le induzioni possibili, il presidente del Consiglio si presentò alla Camera, annunziando che S. M. il Re non aveva accettato le dimissioni del Gabinetto, e che questo rimaneva al suo posto. Non parve a molti che quella risoluzione fosse la migliore che si potesse dare alla crise. L’on. Crispi presentò e svolse una mozione di biasimo al Governo su quel fatto, e il presidente volle un ’altro voto politico. L’ottenne, ma fatto il computo delle palline si trovo che le bianche superavano di 20 soltanto le nere e calcolando i voti dei ministri e dei segretari generali la maggioranza, assottigliandosi di votazione in votazione, era ridotta a zero. Così dopo quel voto, e a due giorni soltanto dall’annunzio dato alla Camera che il Ministero rimaneva al suo posto, l’on. Depretis prorogava la sessione parlamentare.
Tutto il mondo cattolico era in moto quell’anno per festeggiare nel successivo il giubileo sacerdotale di Leone XIII, al quale voleasi dar carattere di atto di devozione al Pontefice e di protesta contro l’Italia costituita. Nelle feste era compresa anche una esposizione vaticana e a quello scopo si formò un comitato composto del comm. Filippo Tolli, presidente, del cav. Federico Mannucci, vice presidente, del cav. Guglielmo Alliata, segretario, e dei signori Attilio Ambrosini, prof. Alessandro Ceccarelli, Adriano de Angelis, Salvatore de Simoni, principe Lancellotti, conte Macchi, marchese Giulio Sacchetti, Giovan Battista de Rossi, Luigi Gasperis, conte Vespignani e cav. Adolfi Silunzi.
L’esposizione doveva contenere i doni che da ogni parte del mondo sarebbero giunti al Papa e si stabilì di costruirla nel cortile della Pigna, dentro il palazzo del Vaticano, e di destinare pure ad essa il braccio nuovo e le gallerie degli arazzi e delle carte geografiche. Doveva riuscire una mostra sui generis, perchè lo spazio mancava, e i locali che si costruivano non erano adatti.
In gennaio morì monsignor Marinelli, sacrista pontificio e vescovo di Porfirio, che abbiamo veduto correre al Quirinale nel 1878, per ottenere la ritrattazione da Vittorio Emanuele. Poco prima erano morti il cardinal Franzelin dell’ordine dei Gesuiti, al Collegio Latino al Quirinale, il Ferrieri, e alla fine di febbraio cessava di vivere nel suo quartiere in Vaticano il cardinale Lodovico Iacobini, segretario di Stato, in età di soli 56 anni. Era stato creato cardinale nel 1879 ed era rimasto anche dopo a Vienna in qualità di pronunzio, finchè Leone XIII non lo chiamava nel 1880 a succedere al cardinale Nina. Era uomo intelligentissimo, bonario, e a Genzano specialmente, ove aveva il suo palazzo, era molto amato. Pochi giorni prima di morire aveva celebrato il matrimonio della sua nipote Ottavia, figlia del cav. Mario, col signor Alibrandi. Il Papa lo visitò lungamente negli ultimi momenti ed egli potè, avendo conservato piena lucidità di spirito, esporre a Leone XIII lo stato degli affari e far la consegna di tutte le carte a monsignor Mocenni. L’Iacobini aveva molto cooperato al ravvicinamento fra la S. Sede e la Germania, e il Pontefice per questo eragli gratissimo.
Il 13 marzo il Papa tenne un Concistoro nel quale creò cardinali monsignor Serafino Vannutelli, monsignor Aloisi-Masella, monsignor Luigi Giordani, monsignor Camillo Siciliano di Rende e monsignor Rampolla del Tindaro, che forse già destinava a successore del cardinal Iacobini. In un altro concistoro del 24 maggio erano creati cardinali pure due italiani: monsignor Agostino Bausa e monsignor Luigi Pallotti.
Come se le rovine delle case in costruzione non fossero bastate, una piena del Tevere fece rovinare nell’inverno tutta l’armatura del ponte Margherita, che danneggiò non poco quello di Ripetta, quello Umberto I in costruzione all’Orso, e si sfasciò sotto il ponte Sant’Angelo.