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Il giorno 7 l’on. Turi, interprete della impazienza del paese per aver notizia dei combattimenti avvenuti da quasi due settimane, interrogò il Governo sui mezzi che proponevasi di attuare per rendere più frequenti e sollecite le comunicazioni con Massaua in attesa che fosse posto il cavo che doveva congiungere quel paese con Perim. Il ministro della marina rispose che il Genè aveva sua disposizione tre navi da guerra che in 30 ore potevano portare dispacci a Suakim, e inoltre che la «Peninsulare» toccava settimanalmente Massaua.

La sera di quello stesso giorno giunse un breve ed oscuro telegramma del general Genè, e il dì seguente Coccapieller, Bonghi e Garibaldi, interrogarono il presidente del Consiglio su quel telegramma. Il Depretis, nonostante che avesse annunziato le dimissioni del ministero, così al Senato come alla Camera, rispose all on. Menotti Garibaldi dicendo che era all’oscuro sui fatti di Massaua. Il Bonghi non svolse la sua interrogazione e il presidente della Camera dichiarò che le interrogazioni erano esaurite. Ma non così intendevala l’on. Coccapieller, il quale disse arrabbiandosi: «Siete tutti tirapiedi del Gabinetto»; espressione che gli valse da parte del presidente un richiamo all’ordine.

La discussione di bilanci, anche dopo le dimissioni del Ministero, fu proseguita e la Camera votò il bilancio dei lavori pubblici, che era stato argomento di così lunghe discussioni. Quando si conobbero i particolari dell’eccidio di Dogali, la pietà pei 500 morti e per i pochi che s’erano salvati con tante pene, crebbe ancora più. Su proposta dell’on. Bonghi la Camera votò ad unanimità il seguente ordine del giorno:

«La Camera, avuta cognizione del rapporto del generale Genè del 22 gennaio e del dispaccio del 6 febbraio, manda un saluto di applauso al valore e di conforto alle fatiche degli ufficiali e soldati, che in lontane e nemiche regioni difendono l’onore, la potenza e la bandiera d’Italia.

Il Re ordinò che per i caduti fosse celebrato un solenne funerale al Sudario, al quale assiste insieme con la Regina, e destinò 120,000 lire da erogarsi a beneficio delle famiglie povere dei soldati morti e ai feriti resi inabili al lavoro. Ogni giornale aveva aperto sottoscrizioni; il duca e la duchessa di Ceri mandarono un’offerta di 5000 lire al Popolo Romano.

Il Municipio poi decretò che a memoria dei caduti di Dogali fosse eretto l’obelisco egiziano rinvenuto negli scavi della piazzetta di Sant’Ignazio, e vi fosse inciso il nome dei morti. Anche la Sacra Famiglia fece celebrare un funerale a Sant’Andrea della Valle e il provento della questua inviò alle famiglie dei soldati feriti combattendo.

Il ministro Brin aveva ordinato che il nuovo incrociatore che si costruiva in Inghilterra portasse il nome di Dogali, e il ministro Ricotti comunicò all’esercito insieme con un manifesto il seguente ordine del giorno:

«Soldati dei presidii d’Africa,

«I combattimenti del 25 e 26 gennaio a Saati ed a Dogali, con tanta fermezza e con tanto ardimento da voi sostenuti, onorano l’esercito italiano. Il ricordo di Dogali rimarrà imperituro nella storia.

«Io faccio plauso al nobile contegno di tutti voi, soldati di terra e di mare, ed esprimo la mia ammirazione ai prodi che, eroicamente sacrificandosi, caddero gloriosamente sul campo di battaglia.

«La patria onora i vostri valorosi compagni ed è a voi riconoscente. Io, altero di esservi capo, sono più che mai fidente nei nostri destini.

UMBERTO