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ganza delle grandi famiglie siciliane, non giudicasse troppo disadorno il palazzo di via Bocca di Leone.

I Belmonte abitavano all’albergo del Quirinale, e nel piano terreno di esso, addobbato con una quantità immensa di fiori, fu firmato il contratto nuziale. Un grande ricevimento tenne dietro a quella cerimonia e i numerosissimi invitati poterono ammirare i doni veramente principeschi inviati alla sposa dal Re, dalla Regina, da Ismail Pascià, dal Consiglio comunale e da tutti i parenti delle due famiglie.

Il matrimonio civile fu celebrato con molta pompa; tutte le dame romane vi assistevano, ma quello religioso ebbe anche maggiore splendore.

La chiesa di Santa Maria degli Angeli riusciva angusta a contenere tutta la folla elegante che vi assisteva. Non pareva che si celebrasse il matrimonio di due giovani patrizi, ma quello di un principe e di una principessa della Casa Reale. Monsignor Lenti, vice-gerente, dette agli sposi la benedizione nuziale, ed essi erano così lieti di vedere che tutta Roma partecipava alla loro felicità che nell’uscire dal tempio camminavano come trasognati, rispondendo con un sorriso vago agli sguardi e agli augurii degli invitati. Il duca e la duchessa lasciarono subito Roma per Frascati, e poi partirono per un lungo viaggio all’estero.

Nel breve periodo concesso alla lotta elettorale, l’opposizione e il Governo avevano tratto largo partito per accaparrarsi voti. Il lavoro non era stato mai più grande che in quel tempo. A Roma la lotta fu viva, anzi vivissima. L’on. Depretis fece una lunga esposizione del suo operato in un banchetto al quale assistevano circa 200 persone nella sala dell’albergo del Quirinale, e seppe parlare con la sua solita abilità; l’on. Cairoli espose il suo programma al teatro Apollo. Pare che qui il programma del candidato d’opposizione incontrasse maggior favore che quello del capo del Governo, perchè due soli candidati del partito ministeriale riuscirono eletti: il duca Torlonia e il Siacci; mentre trionfarono in tre collegi i candidati dell’opposizione, che erano Cairoli, Guido Baccelli e il conte Pianciani. Non fu così nel resto d’Italia, ove i ministeriali vinsero in molti collegi i candidati d’opposizione.

Prima che si riaprisse la Camera, la Gazzetta Ufficiale pubblicò una lista di 40 nuovi senatori. Fra questi vi erano l’on. Farini e l’on. Puccioni, due uomini d’incontestato valore parlamentare, che venivano a mancare alla Camera elettiva.

Il Re inaugurò la Camera il giorno ni giugno facendo un discorso piuttosto incolore; si credeva che avrebbe parlato dell’Africa, ma non vi accennò neppure.

Il Biancheri era il candidato ministeriale alla presidenza, e sul suo nome non vi fu lotta, tanto è vero che raccolse 321 voti. Dopo l’apertura della Camera l’on. Cairoli accettò subito di porsi alla testa della opposizione e fu eletto capo di essa.

Si erano appena chiuse le urne per le elezioni politiche, che dovettero riaprirsi per quelle amministrative. Ma al solito i liberali non si dettero briga dell’esito di esse e mostraronsi disuniti e indisciplinati, di guisa che l’Unione Romana ebbe la meglio, e molti consiglieri neri andarono in Campidoglio. Però il nome sul quale si raccolsero maggiori voti fu quello di don Leopoldo Torlonia, che era in quel tempo il beniamino della città. Nessun sindaco ha avuto prima o dopo tanta autorità morale, quanta egli ne ebbe in quei due anni che corsero dal 1886 alla fine del 1887.

La Camera sedè brevemente, e, come avviene in principio di ogni legislatura, fu più occupata di convalidare elezioni, che di altro. I bilanci non erano stati discussi dalla Camera precedente, e la nuova non aveva tempo di esaminarli con calma. L’on. Bonghi propose che fosse accordato