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centro si vedeva lavorata a rilievo la testa del Redentore. La Regina di Spagna non si mostrò neppur essa indifferente alle premure del Pontefice per il mantenimento della pace. Ella scrissegli una lettera affettuosissima e lo pregò di far uso delle sue prerogative sovrane investendo del Toson d’oro il cardinal Lodovico Jacobini, segretario di Stato.
Il Papa compì la cerimonia con grandissima pompa e poco dopo inviava alla regina Cristina il premio della virtù, la famosa rosa d’oro. Questo dono era consegnato al nuovo arcivescovo di Madrid, inalzato a quella dignità nel concistoro di maggio, nel quale furono creati cardinali i monsignori Theodoli, Mazella, Langenieux, Place, Gibbons, Bernardon e Taschereaux. Il dono consisteva in una pianta di rose nella quale si contavano nove fiori, quattordici bocci, e cento foglie. La rosa principale era al vertice e conteneva il balsamo e il muschio come vuole la tradizione. Lo stelo era collocato in un vaso d’argento dorato con due angioletti al posto delle anse. Nel centro vi era l’effige di Santa Cristina, e la dedica da un lato.
Tutte queste tenerezze verso i sovrani stranieri inasprivano il conflitto fra la Santa Sede e l’Italia.
Il Fazzari dovendo fare un programma elettorale, mise per base la conciliazione fra la Chiesa e lo Stato, e pubblicò quella lettera nel Corriere di Roma, giornale moderato, che il primo gennaio era stato fondato qui da Edoardo Scarfoglio e da Matilde Serao.
Quel programma era una magnifica utopia, ma mancava di base. È possibile che i rapporti fra l’Italia e la Santa Sede sieno più o meno tesi, secondo qual vento spira a palazzo Braschi e in Vaticano, ma la conciliazione non è possibile finchè il Papa non cessa dal rivendicare il potere temporale.
A Roma e in Italia si parlò molto della proposta Fazzari, accolta bene dalla gente desiderosa di veder cessare il dissidio; alcuni giornali la sostennero, ma il Governo continuò a battere la strada opposta.
Uno degli ultimi atti della Camera moritura era stato il sanzionamento della legge per il riconoscimento giuridico delle Società di Mutuo Soccorso; contro quella legge avevano parlato specialmente due deputati socialisti: il Costa e il Majocchi; in favore molti, fra cui l’on. Sbarbaro, che era nel suo campo.
La commissione per il monumento a Garibaldi fu sin dal principio dell’anno affidata allo scultore Gallori, ed egli era così infervorato del suo lavoro che sperava poterlo ultimare e consegnare in breve tempo; invece quanti anni dovevano passare prima che la statua sorgesse sul Gianicolo! Quella stessa sorte è toccata a tanti altri lavori iniziati in quel tempo, come il Palazzo della Banca Nazionale e il Quartiere di San Cosimato, per il quale fu concluso nel 1886 una convenzione fra il Municipio e la Compagnia Fondiaria Italiana.
Il duca Torlonia in mezzo alle occupazioni gravi che gli procuravano il Municipio e la Camera, non aveva rinunziato alla vita elegante. In quell’inverno era a Roma donna Eleonora, figlia del principe Monroy di Belmonte; il duca la conobbe all’ambasciata di Germania, la incontrò in altri ricevimenti e fu ammaliato dalla soavità delle maniere della vaga fanciulla siciliana. Ai primi di aprile i due giovani erano fidanzati. Appena questa notizia fu conosciuta a Roma, il duca ricevè le congratulazioni del Consiglio comunale e la Regina volle conoscere la promessa sposa, che era figlia di una sua dama, e le fu presentata dalla principessa di Ottaiano.
Grandi preparativi furono fatti in casa Torlonia per ricevere la sposa. Il duca affidò al pittore Piatti l’incarico di abbellire il quartiere di donna Eleonora, affinchè ella, assuefatta al fasto e all’ele-