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tera molto cortese al presidente Bonghi. Naturalmente l’Associazione ringraziò calorosamente, e per aumentare il suo fondo fece una lotteria di un milione.

Ai primi di gennaio morì Pietro Pericoli, ex-deputato, ex-amministratore del Banco di Santo Spirito. Egli era sotto processo per essersi valso della sua qualità di amministratore di quell’istituto per far scontare un milione di cambiali alla Banca Romana. La sua morte in quel momento fu provvida, perchè forse gli risparmiò una condanna, e di lui parlo qui perché il suo nome è associato al primo scandalo bancario. Era uomo operoso e intelligente; aveva fondato il Credito Fondiario annesso al Banco di Santo Spirito, e aveva creato la benefica istituzione degli Ospizi Marini. Soccombè ad una malattia di cuore e il suo cadavere fu lasciato lungamente nella stanza mortuaria a San Lorenzo. Rammento che fra le poche corone che circondavano la cassa, ve n’era una modesta e anonima con questa semplice iscrizione: «Un cuore che non dimentica». Nella sventura era dunque rimasto al Pericoli un amico.

Le cortesie scambiate fra il principe di Bismarck e il Papa non facevano buona impressione a Roma. Leone aveva scritto una lettera al Cancelliere dell’impero germanico ringraziandolo in termini lusinghieri di avergli affidato la mediazione nella faccenda delle Caroline, e annunziavagli il conferimento della croce di cavaliere dell’ordine della Milizia di Cristo, e l’invio delle insegne. Bismarck rispose subito ringraziando e facendo molti elogi a Leone XIII.

Questo scambio di cortesie non capitava in un buon momento, perché il Governo nostro aveva iniziato verso la Santa Sede una politica di minor tolleranza, e non si vedeva di buon occhio che appunto la Germania si riavvicinasse al Vaticano quando noi, suoi alleati, sempre più ci se ne scostava.

Qui a Roma i frati francescani dell’Ara Coeli fecero la consegna al Governo del convento annesso alla chiesa e della casa generalizia, che dovevano cadere sotto il piccone per dar luogo ai lavori di demolizione occorrenti per il monumento a Vittorio Emanuele. I cappuccini non mossero nessuna protesta per il momento; essi si erano sempre mostrati più concilianti dei frati di ogni altro ordine. Anzi circa quel tempo essi facevano premure perché alcuni di loro fossero inviati in Africa, nei nostri nuovi possedimenti, e il cardinal Massaia appoggiava in Vaticano quelle premure; ma gl’intransigenti, grandi protettori delle missioni dei Lazzaristi francesi, si opposero.

Il 18 gennaio la Camera riprese i suoi lavori continuando la discussione della perequazione fondiaria, legge di vera giustizia destinata a togliere la disparità che sussisteva nel pagamento della tassa fondiaria fra le diverse regioni d’Italia. Nel Veneto i possessori di terreni erano aggravatissimi; invece nelle provincie meridionali alcuni grandi proprietari non pagavano 200 lire l’anno. È naturale che in Parlamento l’opposizione al progetto di legge partisse appunto dai deputati meridionali. Peraltro il principio della giustizia vinse e la Camera con splendida votazione lo fece trionfare.

Fra gli antiperequazionisti, vocabolo veramente ostrogoto, vi era il marchese di Rudinì, che i deputati napoletani e quelli siciliani consideravano come loro capo.

Si disse allora che i dissidenti nuovi, e i vecchi, che costituivano la Pentarchia, non avessero voluto dar battaglia al ministero sulla perequazione fondiaria, e riserbassero le forze per la legge d’assestamento. Intanto l’on. ministro Magliani aveva fatto l’esposizione del bilancio, e timidamente aveva annunziato che le entrate non coprivano le spese, che anzi vi erano 50 milioni di deficit. L’on. Giolitti si prese l’incombenza di riveder le bucce al ministro delle finanze, e dette alle stampe una memoria con la quale cercava di provare che il disavanzo era di 100 milioni, e che Magliani