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procuratore generale della corte di cassazione, chiedeva alla Camera facoltà di procedere contro il professore. A quella domanda erano uniti cinque grossi volumi in quarto, che contenevano tutti gli atti dei diversi processi contro Sbarbaro, volumi che l’on. Arcoleo dove leggere appena fu nominato relatore della Giunta parlamentare, cui era affidato l’esame di quella faccenda spiacevole.
Sbarbaro era andato alla Camera, ma aveva preso la parola una volta sola, e si era fatto ascoltare. Parlò lungamente quando l’on. Arcoleo presentò la relazione sulla domanda del Procuratore Generale di procedere contro di lui. L’on. Nicotera aveva proposto che la Camera discutesse subito la domanda; Sbarbaro si oppose e sparando un grande pistolotto aggiunse che era dolente che alla seduta mancasse l’on. Depretis poichè era possibile che venissero presentati documenti così gravi da porre il Governo in istato d’accusa.
Questo accadeva il 13 aprile; il 14 la Camera discusse la domanda del Procuratore Generale, e gli accordò l’autorizzazione di procedere contro Sbarbaro. Il professore non attese che il senatore di Falco si valesse dell’autorizzazione, e lasciò Roma per la Svizzera.
Prima che partisse alcuni italiani di Buenos-Ayres avevano mandato a Sbarbaro una penna d’oro. Il professore, tutto tronfio per il dono ricevuto, la magnificò nella Penna, e quando il Perino, al quale Sbarbaro era costato salato col giornale, non volle più fargli l’editore e Sbarbaro fondò un nuovo giornale, lo chiamò La Penna d’oro, in memoria del ricco dono. Le cose andarono male subito, e una certa volta che non c’era carta per istampare il giornale, la famosa penna d’oro fu data in pegno al fornitore di essa, col patto di riscattarla dentro un certo periodo di tempo. La penna non fu riscattata, il fornitore cercò di venderla e si accorse che era falsa. Il professore, che in breve volger di tempo aveva sofferto tante delusioni, ebbe anche quella di sapere che i suoi lontani ammiratori si erano burlati di lui speculando sulla sua vanità.
Un provvedimento molto umano fu annunziato col 1° gennaio: il Governo diminuiva il prezzo del sale di 20 centesimi al chilogrammo. La diminuzione era la conseguenza delle leggi finanziarie votate a debolissima maggioranza poco prima, e con le quali si aumentava il prezzo sulla fabbricazione degli zuccheri e degli spiriti. Fu un atto di giustizia verso le classi bisognose, che esse e le altre accolsero con gran piacere, perchè chi non sapeva quanta miseria vi fosse in alcune parti d’Italia dopo le sventure delle inondazioni e del colera, che avevano appunto palesato come vivessero i contadini del Veneto e quelli delle Puglie e delle Marche?
Con la presentazione del bilancio comunale si ebbe a Roma un’altra notizia consolante: si vide quanto il Municipio aveva fatto per l’insegnamento. Da quel bilancio risultava che nel 1873 il Comune spendera 800,009 lire annue per l’istruzione, e nel 1886, 1,804,000 lire. Le cifre, in questo caso, indicavano che si erano aumentate scuole e insegnanti, e che se maggiori fossero stati i bisogni, il Comune avrebbe continuato nell’aumento. Che ci fosse bisogno di riforme era evidente. I locali delle scuole non erano nè sufficienti nè igienici, e la distribuzione dell’insegnamento poco efficace. L’assessore Tommassini incominciò dall’abolire le scuole preparatorie e a sostituirle con asili ordinati sul metodo frœbeliano, con aumentare le classi quarte e quinte, coll’alternare le lezioni con le ricreazioni, e col dare incremento al metodo oggettivo per l’insegnamento. Era quasi un programma da ministro più che da assessore; ma l’intelligente e coltissimo uomo riuscì in parte ad attuarlo.
Anche il Re volle fare un dono di capo d’anno all’Associazione della Stampa; essa aveva chiesto che la sua opera pia della Cassa di previdenza fosse innalzata ad ente morale; il Sovrano nel firmare il decreto inviò 20,000 lire d’offerta per quel fondo e fecela accompagnare con una let-