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Il 1886.
Come in sul principio dell’anno precedente, così ai primi di gennaio del 1886, si faceva un gran parlare in Italia, e più specialmente a Roma, di una spedizione africana. Ma non era, come quella antecedente, una spedizione militare; si trattava di una missione diplomatica, guidata dal generale Giorgio Pozzolini, e della quale facevano parte il cav. Bardi, del ministero degli esteri, il viaggiatore Nerazzini, il tenente d’artiglieria Capacci, e il tenente Pennazzi. La missione doveva recarsi presso il Negus Giovanni per concludere un trattato di buon vicinato con l’Abissinia.
La missione partì da Napoli, andò a Massaua, ma non potè vedere il Negus, che si disse partito per reprimere una insurrezione ai confini dello Stato. Quando il ministro Robilant comunicò questa notizia alla Camera, essa non produsse buona impressione.
Sbarbaro, appena rimesso in libertà, aveva annunziato un mondo di cose: prima di tutto la pubblicazione della Penna, giornale che doveva continuare le tradizioni funeste delle Forche Caudine, poi un gran discorso agli elettori di Pavia, e una efficace operosità al Parlamento.
La Penna non usci il 3 gennaio, come egli aveva promesso, ma il 10 soltanto, e prima di fare il famoso discorso di Pavia pensò bene di andare nella nativa Savona, ove ebbe campo di parlare quanto volle, di darsi in pascolo alla curiosità dei suoi concittadini, di farsi baciare in pubblico dalla sua balia piangente, di proclamare là e a Pegli che al Governo del Re doveva essere posto il dilemma: «O giustizia o barricate». Poi fece il discorsone di Pavia, e qui centinaia di strilloni sparsero le innumerevoli copie del giornale di Sbarbaro. Ma nello stesso tempo il senatore di Falco,